- Da più parti si lamentano, e da mesi, che non si sia insediata la benemerita commissione. Sono di tutt'altro avviso: mi auguro che venga alla luce il più tardi possibile. Per essere sincero sino in fondo spero che in questa legislatura non ci sia alcuna commissione antimafia. Meglio per tutti.
- Gli esempi virtuosi del passato sembrano lontani nella storia. Dalla storica commissione di Pio La Torre a quella di Gerardo Chiaromonte, da Luciano Violante a Rosy Bindi passando per Francesco Forgione. Credibilità e autorevolezza bisogna conquistarsele.
- C’è un precedente: nella settima legislatura, fra il luglio del 1976 e il giugno 1979, non c’è stata una commissione antimafia. Sarebbe fantastico replicare nel 2023.
Ma serve davvero oggi un’antimafia in Parlamento? Ne abbiamo proprio bisogno, in questo preciso momento, di “una commissione d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere”? Io, il dubbio ce l’ho. E, devo confessare, me l’hanno fatto venire tutti coloro che a giorni alterni disperatamente la invocano, che gridano allo scandalo perché ancora non c’è, che lanciano appelli o addirittura candidature presidenziali.
Da più parti si lamentano, e da mesi, che non si sia insediata la benemerita commissione, mancanza che – secondo loro – avrebbe in qualche modo “arrestato” la lotta contro il crimine. Ecco, sono di tutt’altro avviso. E per ora provo un certo sollievo per il fatto che non si sia ancora insediata, augurandomi che venga alla luce il più tardi possibile. Per essere sincero sino in fondo spero che in questa legislatura non ci sia alcuna commissione antimafia. Meglio per tutti.
L’aria che tira
Vista l’aria che tira e i nomi che circolano per andare a occupare la poltrona di presidente non credo che ne uscirà qualcosa di buono da un’antimafia prossima ventura. Ho la sensazione che in molti non sappiano maneggiare adeguatamente la materia e che altri, al contrario, la sappiano maneggiare anche fin troppo bene. Oltretutto, ho il sentore che qualcuno stia mischiando le carte per interessi amicali e convenienze personali che non mi piacciono per niente.
Bisogna portare rispetto alle commissioni parlamentari ma c’è da dire che, quel rispetto, bisogna conquistarselo con la credibilità e l’autorevolezza. Gli esempi virtuosi del passato sono tanti. Dalla prima commissione degli anni Sessanta dove Pio La Torre ha iniziato (insieme al giudice Cesare Terranova) la sua grande battaglia per il riconoscimento del reato di associazione mafiosa e la confisca dei beni a quella di Gerardo Chiaromonte che ha scoperto le mafie nel Lazio una ventina di anni prima della magistratura, da quella del dopo stragi di Luciano Violante alla lucida e saggia gestione di Rosy Bindi, da quella di Francesco Forgione che ha portato alla ribalta gli affari e la pericolosità della ’Ndrangheta per finire a quella di Nicola Morra che – pur fra fragilità e qualche faida di troppo – ha comunque provato a proiettarsi fuori dall’ovvio e dai trasversali e poco onorevoli accordi.
Preso atto di come stanno le cose oggi e di come viene – a destra e a sinistra – affrontata la questione della “lotta alla mafia“ con malcelato fastidio o nel migliore dei casi con uno sguardo rivolto solo al passato e alle solite facce sconce, incrocio le dita e mi appiglio a un precedente che può salvarci.
I pezzenti del crimine
Istituita il 20 dicembre del 1962 con legge numero 1720 “per esaminare la genesi e le caratteristiche, per proporre le misure necessarie e per reprimere le manifestazioni ed eliminarne le cause”, la commissione parlamentare antimafia – 15 deputati e 15 senatori – ha resistito sino ad oggi tranne che nella settima legislatura, fra il luglio del 1976 e il giugno 1979.
In quei tre anni non c’è stata. Sarebbe fantastico replicare in questa fine primavera del 2023. Prendiamoci una pausa, dimentichiamola per un po’ in attesa di tempi migliori e di un contesto meno velato.
Per esempio non riesco a decifrare l’endorsement a Rita dalla Chiesa partito del deputato dei Cinque stelle Federico Cafiero De Raho («Io avrei pensato a una persona come lei, il cui nome di per sé e di importanza storica… una certezza per la strada che si vuole percorrere»), che come procuratore nazionale antimafia verrà ricordato per la sua espulsione dal pool di Nino Di Matteo anche se poi ha provveduto a reintegrarlo.
Capisco bene invece un’altra antifona, la musica che stanno suonando accompagnata alle parole di Renato Schifani alla convention di Forza Italia di sabato scorso a Milano: «L’antimafia l’ha fatta Silvio Berlusconi con le sue leggi che sono state le più dure, è stato lui a voler stabilizzare il carcere duro, in un partito che ha fatto la vera antimafia, con le leggi e non con le chiacchiere».
Al di là dei nomi che sono circolati sulla presidenza, questa commissione che sboccerà «dal partito che ha fatto la vera antimafia» cosa farà? Indagherà sui pezzi mancanti delle indagini su Falcone e Borsellino? Ricostruirà le connivenze fra Cosa Nostra e i "mandanti esterni” della bomba dei Georgofili dove Silvio Berlusconi è ancora sotto inchiesta per strage? O si butterà a rincorrere i pezzenti del crimine?
È una grande occasione, non perdiamola: aboliamo temporaneamente l’Antimafia.
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