- La Corte costituzionale è davanti a due decisioni su questioni politiche rilevantissime: l’ergastolo ostativo e il conflitto di attribuzioni che vede contrapposti il senatore Matteo Renzi e la procura di Firenze.
- Si tratta di un giudizio delicatissimo, che mette i giudici dentro un’irrisolta contesa tra potere politico e magistratura, apertasi dopo Tangentopoli.
- La Consulta sente il peso di svolgere una funzione di garanzia al limite e la mancanza di una legittimazione diretta, analoga a quella dei rappresentanti del popolo, l’ha spinta a cercare una legittimazione mediatica.
Si chiamano political questions. Riguardano il confine, delicato e sottile, tra politica e giurisdizione. La Corte costituzionale sta per varcare quella soglia, nelle decisioni imminenti su due questioni politiche rilevantissime.
La prima è sull’ergastolo ostativo, che la Corte aveva dichiarato illegittimo senza stabilire gli effetti immediati del suo dire. Rispetto ai precedenti – in cui sulle questioni politiche la Consulta evitava di pronunciarsi, anche di fronte a violazioni della Costituzione, se riconosceva al legislatore il diritto alla prima parola – ora la Corte ha cambiato strategia.
Dichiara l’illegittimità della legge e, con la stessa decisione, assegna al parlamento un tempo determinato per modificarla, avvertendo che, in caso di inerzia, la legge sarà definitivamente abolita.
Il governo ha approvato un decreto-legge di modifica della pena perpetua, rendendo non più assoluto il divieto di accedere alla libertà che, per i condannati di mafia, era subordinata all’unica condizione della collaborazione con la giustizia. Di conseguenza, la Consulta ha restituito gli atti alla Cassazione, per valutare se anche la nuova disciplina è contraria al principio costituzionale di risocializzazione del reo. È molto probabile che la questione ritorni all’attenzione della Consulta. Il punto critico è che il giudizio non è neutro. Tocca nel vivo le scelte di politica criminale riservate dalla Costituzione al potere legislativo, e la decisione dovrà compiere difficili bilanciamenti di valori.
La seconda questione è l’ammissibilità di un conflitto di attribuzioni che vede contrapposti la Procura di Firenze e il senatore Matteo Renzi nell’inchiesta che riguarda la Fondazione Open e il presunto finanziamento illecito a Italia Viva.
Si tratta di un giudizio delicatissimo, che mette i giudici dentro un’irrisolta contesa tra potere politico e magistratura, apertasi dopo Tangentopoli e la modifica dell’articolo 68 della Costituzione. È in gioco la prerogativa della insindacabilità parlamentare, e i limiti che la Costituzione stabilisce ai magistrati di intercettare i parlamentari per fatti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni.
La Consulta ha elaborato una giurisprudenza molto creativa, che la costringe a disvelare caso per caso le situazioni in cui l’attività politica dei parlamentari, libera in linea di principio, si trasforma in illeciti perseguibili dai giudici. Nel caso Renzi, la questione riguarda il contenuto di alcuni messaggi whatsapp e la riconducibilità alle comunicazioni parlamentari coperte dall’immunità costituzionale. La Corte dovrà stabilire se i pubblici ministeri possono acquisirli nel processo o se, invece, ciò gli è vietato dalla Costituzione.
La funzione di garanzia
La Consulta sente il peso di svolgere una funzione di garanzia al limite, che la stessa Costituzione colloca sul precario crinale che dovrebbe separare la politica e la giurisdizione. Giudicare sulla legittimità delle leggi, dirimere i conflitti tra poteri, sciogliere i conflitti tra lo stato e le regioni espone la Corte alla critica di una politicizzazione della giurisdizione. Un tema antico, ben noto negli Usa, in cui la Corte Suprema pur individuando le political questions come zone franche dal suo giudizio, non ha mai rinunciato in nome della Costituzione a interferire negli spazi della politica e del governo. Il fatto è che non sempre la custodia della Costituzione basta a coprire gli sconfinamenti dei giudici.
La mancanza di una legittimazione diretta, analoga a quella dei rappresentanti del popolo, ha spinto la nostra Corte costituzionale a cercare una legittimazione mediatica. Si spiegano così i sempre più frequenti comunicati stampa che anticipano le proprie decisioni, le conferenze interne rese pubbliche, i viaggi nelle carceri e nelle scuole in funzione pedagogica, il ricorso massiccio ai media usati della generazione Z per farsi conoscere nella comunità dei social.
Tutto ciò fa perdere ai giudici quell’aurea di sacralità che li caratterizzava. Immette la Corte costituzionale nella vita della società. Le conferisce una sovraesposizione politica che rischia di minacciarne la terzietà e l’indipendenza. Sono temi cruciali sui quali la rivista Quaderni costituzionali ha aperto una discussione tra giuristi e giudici costituzionali.
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