- In un’intervista rilasciata a La Stampa del 30 ottobre, il neo presidente del Senato Ignazio La Russa ha ribadito la sua amicizia con la famiglia Meghnagi.
- Non servirebbe nemmeno dirlo, ma l’avere amicizie ebraiche non garantisce in alcun modo gli ebrei. Come non ha garantito la popolazione ebraica italiana il fatto che Mussolini avesse note amanti ebree.
- Perché, proprio approfittando di questi legami d’amicizia, non chiedere pubblicamente alla destra italiana di chiarire il legame con riti e ambienti nostalgici?
In un’intervista a La Stampa del 30 ottobre, il neo presidente del Senato Ignazio La Russa, che si sta tra l’altro distinguendo per un inedito attivismo mediatico, ha ribadito la sua amicizia con la famiglia Meghnagi. Col figlio Walker, attuale presidente della Comunità ebraica milanese, e, prima ancora, col padre Isacco.
Non credo di fare torto a nessuno nel dire che la famiglia Meghnagi è, da sempre, in sintonia con la destra cittadina, di cui i La Russa sono, forse, i principali rappresentanti.
In primis, devo dire che trovo davvero stucchevole questo utilizzo da parte del presidente del Senato di un rinnovato «Ho tanti amici ebrei» per allontanare sospetti di vicinanza ideologica col regime che ha promulgato in Italia le leggi razziali.
Non servirebbe nemmeno dirlo, ma l’avere amicizie ebraiche non garantisce in alcun modo gli ebrei. Come non ha garantito la popolazione ebraica italiana il fatto che Benito Mussolini avesse note amanti ebree.
Allo stesso modo, da ebreo italiano e milanese, devo ammettere un certo stupore nel farsi utilizzare come foglia di fico per favorire un processo di accreditamento di una parte politica che ancora mostra pulsioni nostalgiche.
Storicamente orientato verso lo schieramento antifascista e gli ideali democratici che ne hanno favorito l’emancipazione, il legame fra la destra e l’ebraismo italiano ha origine nella comune battaglia anticomunista della guerra fredda, considerando che il regime sovietico ha effettivamente portato avanti terribili politiche antisemite, attingendo a piene mani dalla peggiore tradizione antigiudaica zarista e locale.
Il legame è andato intensificandosi nel nuovo quadro politico tracciato dall’11 settembre 2001, dove, in funzione chiaramente anti-islamica, la destra post-fascista ha rivisto le proprie posizioni storicamente contrarie allo Stato ebraico, sancite dal «tradimento» mussoliniano, che, precedentemente all’accordo con Adolf Hitler, aveva anche mostrato simpatie sioniste, intendendolo come movimento nazionale e nazionalista.
Nazionalismi ed ebraismo
Il legame con Israele si è ulteriormente intensificato durante il «regno» di Benjamin Netanyahu, che ha scelto, anzitutto per propaganda interna, il fronte neo-nazionalista come ideale alleato di Israele, non mancando di portare davanti alla fiamma perenne dello Yad VaShem persone che erigevano in patria statue e monumenti in onore di collaborazionisti complici della Shoà.
Un esempio di questo legame lo abbiamo avuto in Italia con l’amicizia, spesso ostentata, fra l’ex ambasciatore Dror Eydar e Matteo Salvini. Ne abbiamo reso conto su queste pagine.
Ora, il discorso è assai complesso, ed è anche comprensibile che l’ebraismo italiano ed europeo sia andato alla ricerca di alleanze politiche dirette in direzione contraria rispetto al tradizionale posizionamento filo arabo della nostra politica estera. Ciò che, però, risulta sgradevole è la logica del baratto. Tra l’altro assolutamente contraria alla cultura e all’etica ebraica.
Perché, proprio approfittando di questi legami d’amicizia, non chiedere pubblicamente al presidente La Russa di non mostrare orgogliosamente cimeli del duce?
Perché non dire una parola sulle braccia alzate riviste anche recentemente dall’altro La Russa, il fratello Romano, radicato protagonista della politica cittadina?
Perché non insistere che venga reciso il legame con gruppi dalle forti venature antisemite? Inutile ricordare i legami territoriali della Lega con Lealtà e azione, dedita a mascherate nazistoidi di ogni tipo.
Per non parlare dei posti in lista garantiti a soggetti discutibili come avvenne nel caso della candidatura di Stefano Parisi a sindaco di Milano nel 2016.
La sinistra deve ancora elaborare l’antico pregiudizio di un separatismo ebraico, per cui l’ebreo tende ad isolarsi dalla società circostante e ad essere quinta colonna interna allo Stato.
Ciò non giustifica un’oscillazione verso la sponda opposta. E, sinceramente, non mi sta bene nemmeno la giustificazione per cui gli ebrei votano per tutti i partiti perché sono come tutti gli altri. Semplicemente, non dovrebbe essere così.
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