Sul piano culturale cosa sia il progressismo lo capiscono tutti, che lo detestino o lo supportino, ma cosa sia il conservatorismo italiano invece non si è ancora capito e non per colpa della sinistra
Che fine ha fatto il conservatorismo? Quando poco più di un anno fa il centrodestra ha vinto le elezioni, politici e intellettuali vicini a Fratelli d’Italia enunciavano un piano per costruire una nuova egemonia culturale e affiancavano al sovranismo, un cocktail politico di euroscetticismo e nazionalismo, un più raffinato rimando al conservatorismo di cui si prometteva una elaborazione all’italiana che avrebbe permesso di riequilibrare il potere culturale della sinistra. Ci si aspettava, dunque, un profluvio di iniziative culturali, think tank, fondazioni, riviste e giornali di destra messi a soqquadro da un nuovo flusso di idee e invece oggi di tutto questo, e di quel poco che era stato iniziato, non rimane quasi nulla.
L’occupazione di potere, come fisiologico che sia quando si governa, c’è stata e la destra non ha fatto prigionieri per quanto concerne spazi nei media e nella cultura, ma ciò che sembra del tutto sparito è l’orizzonte di pensiero. La critica al cosiddetto “amichettismo” della sinistra è fondata sul piano politico anche perché la chiusura in circoli ristretti, moraleggianti e autoreferenziali danneggia in primo luogo proprio l’intellighenzia di sinistra più che la destra.
Ma l’amichettismo, per quanto fondato su una ideologia leggera e perdente di fronte alla realtà storica, ha almeno una coerenza e una riconoscibilità di fondo. Sul piano culturale cosa sia il progressismo lo capiscono tutti, che lo detestino o lo supportino, ma cosa sia il conservatorismo italiano invece non si è ancora capito e non per colpa della sinistra.
La destra fortissima nella cultura popolare e sotterranea, il sottosuolo di Dostoevskij, ha preferito tagliare corto e andare diritta sul consenso e sull’amministrazione pura del potere senza coltivare nulla di più alto. Fratelli d’Italia ha smesso subito di investire nel pensiero conservatore e nei veicoli che servono per elaborarlo come pensatoi, libri, giornali, cinema e università. Qual è il progetto di vita conservatore? Che tipo di società si immagina? Quale Europa? Quali libertà, valori e doveri dovrebbero essere primari per un conservatore d’Italia? Se si rileggono i discorsi di Margaret Thatcher, di Helmut Kohl, ma anche quelli incendiari di oggi di Javier Milei, una risposta a queste domande si trova, mentre se si rileggono quelli di Meloni c’è invece ben poco oltre gli efficaci slogan elettorali. Inoltre, l’amichettismo della sinistra è una occupazione di posti di potere più sofisticata della classica nomina politica: si occupano le poltrone e ci si sponsorizza a vicenda e ci si loda per il proprio impegno, la propria qualità e soprattutto la propria bontà morale. In genere ciò avviene attraverso recensioni positive, una rete di giornali e case editrici, ospitate reciproche, festival vari e fiere di libri e cinema controllate integralmente. È un vero e proprio sistema di influenza per quanto ammaccato e provinciale sia. La destra invece si mostra molto più basica e dunque incapace di intaccare il predominio marxista-progressista. L’occupazione dei posti della cultura avviene con un patronage politico puro senza tanti fronzoli.
A sinistra si sostiene “tocca a noi perché siamo bravi e buoni”, a destra “tocca a noi perché tocca a noi”. In questo comportamento del governo non c’è nulla di anti-democratico o illiberale, come spesso si denuncia senza fondato motivo a sinistra, ma è soltanto il segno di una incapacità di offrire un pensiero a tutto tondo, una visione di società conservatrice. Ne consegue una destra soltanto reattiva: efficacissima nello smontare utopie e idealismi del progressismo, ma molto povera nel costruire una visione alternativa. Così ogni riferimento al conservatorismo, nei discorsi della premier e dei ministri, è del tutto evaporato nell’ultimo anno anche per un opportunismo politico secondo il quale è meglio avere le mani libere dall’ideologia per muoversi con agilità nella politica europea. Ha vinto il puro realismo e il cinismo, grande qualità in politica sia chiaro, nell’adattarsi al contesto e cambiar posizione. Ed è probabile che da questo atteggiamento il centrodestra ne guadagni sul piano del consenso. Ciò che bisogna domandarsi però è cosa resterà della destra quando finirà la legislatura o la stella politica di Giorgia Meloni si eclisserà? La risposta è nulla: non un pensiero, non una struttura, non una rete e finito il tempo di governo nelle istituzioni culturali ed educative tornerà a dominare la sinistra. Meloni non è sola nella sua vaghezza ideologica perché a farle compagnia c’è il partito Repubblicano di Donald Trump, un’altra esperienza che nel lungo periodo rischia di lasciare più macerie che nuove fondamenta quando l’avventura personale del tycoon si concluderà. Come ha di recente schiarito dal podio di un comizio proprio Trump: «Siamo il partito del buon senso«, e ha aggiunto «La gente dice: “Oh, sei un conservatore”, io rispondo: “Ha importanza?”.
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