Due riforme costituzionali in una legislatura, premierato e giustizia penale, sono troppe? Sì, il rischio per il governo Meloni è che siano troppe e l’eventuale fallimento di due referendum sia difficile da sostenere senza conseguenze sul piano politico pur se dovesse accadere verso la fine legislatura.

Alla maggioranza converrebbe infatti puntare soltanto sulla riforma della giustizia e lasciar perdere quella sul premierato. E ciò per una serie di ragioni. La riforma della giustizia è ben congegnata a livello tecnico, mentre quella sul premierato lo è molto di meno. La giustizia è importante per risolvere un conflitto endemico e distruttivo tra magistratura e politica, una situazione che si può salvare soltanto con un cambiamento istituzionale radicale, mentre il premierato mira ad una stabilizzazione della legislatura per cui è sufficiente una legge elettorale.

Il ministro Nordio mira ad eliminare una deleteria politicizzazione della magistratura che ha spinto l’istituzione ai minimi della legittimazione e dell’autorevolezza, per cui la riforma è un servizio al garantismo come bene pubblico, un favore ai tanti magistrati troppo spesso ostaggio del protagonismo di una minoranza di pubblici ministeri e un aiuto alla politica spesso delegittimata da inchieste che si risolvono in bolle di sapone.

Al contrario il premierato è una riforma con vari punti ancora irrisolti, a partire dalla legge elettorale sottostante, senza particolari modelli di riferimento all’estero su cui basarsi per disegnare i meccanismi istituzionali e figlia di un compromesso a ribasso dopo che il progetto semipresidenziale è stato accantonato. Se poi l’obiettivo è stabilizzare la durata dei governi, allora non è la riforma costituzionale l’unico modo per farlo.

D’altronde già l’attuale legislatura offre un paradosso: se l’attuale maggioranza, uscita vincente proprio dalla urne, durerà cinque anni come dice il Presidente del Consiglio è già la prova che gli esecutivi possono esser stabilizzati a costituzione invariata. Inoltre, la riforma della giustizia è stato il sogno proibito di Silvio Berlusconi, l’eredità incompleta del fondatore dell’attuale centrodestra, che oggi può essere realizzata proprio perché il Cavaliere e i suoi processi non ci sono più. Esistono poi due altri elementi da tenere in considerazione. Il primo è che già otto anni fa un referendum costituzionale che cercava di stabilizzare il governo e rafforzare il presidente del consiglio è fallito.

Quella sconfitta è per molti versi ancora fresca e gli elettori non mostrano particolare passione per un secondo round di riforma costituzionale del governo, non c’è un clima di mobilitazione costituente che forse può esserci soltanto in gravi momenti di crisi e con l’unione tra maggioranza e opposizione. Inoltre, come già accaduto con Renzi, il premierato offre all’opposizione divisa un movente per unirsi contro la maggioranza.

Al contrario sulla riforma Nordio i centristi si troverebbero in difficoltà ad opporsi e, se guardiamo i sondaggi sul punto, grandissima parte degli elettori del centrodestra considera lo stato attuale del potere giudiziario come un grave problema politico da risolvere. Il secondo elemento da considerare è che il premierato è una riforma ampia, che riguarda la forma di governo nel suo complesso, mentre la riforma costituzionale della giustizia è una riforma circoscritta e settoriale. Ciò cambia anche la percezione delle eventuali sconfitte.

L’eventuale bocciatura alle urne del premierato risulterebbe più grave per il governo che lo ha proposto rispetto all’eventuale respingimento della riforma della giustizia che, per l’appunto, resta un provvedimento tematico. Al fallimento della seconda si può sopravvivere politicamente, a quello della prima è molto più difficile farlo. Ecco dunque un consiglio cinico alla maggioranza: per il bene di se stessa e delle istituzioni in Parlamento affondi il premierato e vada avanti senza compromessi sulla riforma della giustizia.

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