C'è ancora tempo per dire che c'è un'Italia che non è rappresentata dal palco di piazza del Popolo. Un'Italia popolare, che non esclude, ma include, che non spacca ma unisce, che non trasmette livore, ma forza tranquilla
La festa della Repubblica del 2 giugno coincide con la fine della campagna per le elezioni europee, tra le più inconsistenti degli ultimi anni. In cui, ancora ieri in piazza del Popolo a Roma, risuonava la battuta della premier («sono la stronza della Meloni») al comizio del primo partito italiano.
La presidente del Consiglio, la leader della destra che governa il paese da venti mesi, è uscita da Palazzo Chigi e ha deciso di celebrare la festa nazionale all'insegna della divisione. Tra chi sta con lei e chi sta contro di lei, tutti gli altri, tutti catalogati “a sinistra”: le opposizioni, i sindacati, i magistrati, gli intellettuali, i giornalisti, perfino i vescovi. A sei giorni dal voto, Meloni prova a trasformare il voto in un referendum sulla sua persona, «un referendum tra due visioni opposte».
L'Europa «ideologica, centralista, nichilista», quella degli altri, e la sua, «coraggiosa, fiera, che non dimentica le sue radici». Eccola qui, al naturale, una leader che dovrebbe unire il Paese e invece gioca, ancora una volta, per mobilitare qualche elettore in più, la carta della divisione.
È una strategia che spazza via i comprimari, i simboli di alcune formazioni minori, che al loro interno ospitano una costellazione di altre sigle, come se fossero pizze capricciose servite sul tavolo della politica all'attenzione del cliente-elettore, con il miraggio di superare la soglia del quattro per cento. Il tutto mentre intorno ai confini europei la guerra scatenata da Putin in Ucraina arriva a un nuovo salto di qualità, sul cessate il fuoco a Gaza va in scena una macabra partita di poker, e la partita per il controllo delle istituzioni dell'Unione europea è più confusa che mai.
La copertina dell'Economist sulle tre donne che si contendono l'Europa raffigura tre ipotesi di destra, tre gradazioni possibili, tendenza Ursula von der Leyen, tendenza Marine Le Pen, tendenza Giorgia Meloni, ma arrivati alla vigilia del voto Meloni ha scelto di essere più Le Pen che von der Leyen. E il risultato potrebbe essere la disintegrazione non formale, ma sostanziale del progetto politico europeo, nel momento in cui più ce ne sarebbe bisogno.
È l'arma finale della campagna elettorale, come lo è lo stravolgimento della Costituzione, in assenza di strategie sulle questioni più urgenti e reali, quelle elencate dal governatore di Banca d'Italia Fabio Panetta: lavoro, salari, produttività, crescita, giovani, donne, integrazione degli immigrati. Resta l'ideologia della rivalsa, quella che ha portato ieri in piazza del Popolo l'ex missina Adriana Poli Bortone a definire «leninista» il competitore sindaco di Lecce Carlo Salvemini, uno dei migliori sindaci italiani. Tra una settimana vedremo se sul piano elettorale il gioco avrà avuto successo.
Ma in questi giorni c'è ancora tempo per dire che c'è un'Italia che non è rappresentata dal palco di piazza del Popolo. Un'Italia popolare, che non esclude, ma include, che non spacca ma unisce, che non trasmette livore, ma forza tranquilla. Un'Italia che considera la Resistenza, la Repubblica e la Costituzione il bene più prezioso, la stessa cosa. Per il centrosinistra è una partita non solo elettorale e va oltre il voto dell'8-9 giugno. Ricucire il Paese stanco, disilluso, stufo di essere ingannato dal signore o dalla signora degli anelli di turno, fino a disinteressarsi del voto.
Un esercizio difficile che Elly Schlein ha provato a fare prima di tutto nel Pd dove pure il vulcano delle divisioni è sempre pronto a esplodere. Il passo successivo saranno i ballottaggi nelle città e poi comincerà la sfida che porta alla seconda metà della legislatura. Quando si confronteranno davvero due visioni di Europa, ma anche due visioni di Repubblica. «Quale Repubblica volete?», chiese Alcide De Gasperi al suo partito nella Roma liberata, nel luglio 1944, nel primo comizio al teatro Brancaccio. Così parla uno statista.
La domanda resta viva oggi. Quale Repubblica? La Repubblica fortezza e delle ripicche? O la Repubblica contemporanea dei diritti delle persone e dei doveri di solidarietà, la Repubblica di chi arriva da terre lontane, la Repubblica della libertà?. Sabato e domenica si vota anche su questo, come fecero 78 anni fa gli italiani e per la prima volta le italiane.
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