Per salvare la sanità pubblica, il 15 dicembre a Roma si tiene una manifestazione di varie sigle sindacali del settore sanitario
- Anche quest'anno l’esame per l’ammissione alla Facoltà di Medicina ha dato origine a critiche e controversie.
- Le qualità necessarie per essere un buon medico sono purtroppo difficili da valutare con un test a crocette che interessa decine di migliaia di candidati.
- Piuttosto che concentrare l’attenzione su chi non ha superato l’esame, bisognerebbe rallegrarsi per quella metà dei candidati che è stato capace di dare risposte corrette a domande difficili, anche se non ideali.
Anche quest’anno assistiamo a commenti e recriminazioni dopo che sono stati resi noti i risultati dell’esame per l’ammissione alle facoltà di Medicina: 56.775 studenti hanno svolto l’esame e solo 28.793 sono risultati idonei.
Rispetto agli anni precedenti, nel test c’erano meno domande di logica e di cultura generale e più domande di chimica, fisica e biologia. Molti medici, tra i quali noti professori universitari, non hanno avuto difficoltà ad ammettere che non sarebbero stati in grado di superarlo. Questo probabilmente perché, tranne in alcune branche, biologia, chimica e fisica hanno poco a che fare con il lavoro quotidiano del medico e vengono presto dimenticate.
Sono invece richieste altre competenze fondamentali: capacità di studio e aggiornamento continuo, capacità logico-statistica e capacità di relazione. Volendo, potremmo aggiungere la capacità di convivere con l’incertezza. Per salvare la sanità pubblica, il 15 dicembre a Roma si tiene una manifestazione promossa da intersindacale “Uniti per la Sanità”.
Senza risposte certe
Paradossalmente infatti, nonostante i grandi avanzamenti della tecnologia e le centinaia di migliaia di studi e ricerche che vengono pubblicati ogni anno sulle riviste mediche internazionali, si calcola che solo il 20-30 per cento dei problemi ai quali un medico si trova di fronte nella sua pratica quotidiana abbia risposte certe o, come si dice oggi, basate sulle evidenze.
Matematica, chimica e fisica sono scienze esatte. La medicina no. Come diceva William Osler, uno dei padri della medicina moderna, «è la scienza dell’incertezza e l’arte della probabilità» e tale resterà a lungo, nonostante gli avanzamenti delle conoscenze e dell’intelligenza artificiale. Per esempio, sappiamo molto meno di quanto vorremmo sul trattamento dei grandi anziani, che sono spesso esclusi per principio dagli studi clinici, e solo negli ultimi anni abbiamo cominciato a capire che esistono importanti differenze tra uomini e donne nelle manifestazioni di malattia, nella risposta ai farmaci, nei bisogni di cura e di prevenzione.
Anche le donne, peraltro, sono da sempre poco rappresentate negli studi e nelle ricerche di ambito medico, a causa della loro biologia “variabile” con il ciclo mestruale, del “rischio” di gravidanza in corso di studio, della loro maggiore suscettibilità agli effetti collaterali dei farmaci (che non fa piacere all’industria che li produce). Poco si sa, e quasi nulla si insegna nelle facoltà di Medicina, sulle scelte difficili, sulla comunicazione con i pazienti e i loro familiari, sulla desistenza, sul fine vita.
Personalità e logica
Possiamo a questo punto tornare a chiederci se esista un modo adeguato e soddisfacente per selezionare i medici del futuro. Se fosse accettabile, ed esprimo un parere del tutto personale anche se basato su lunghi anni di esperienza ospedaliera, i candidati dovrebbero essere innanzitutto sottoposti a un test della personalità. Questo garantirebbe quel minimo di stabilità emotiva che è necessario per un mestiere come questo.
Purtroppo si tratta di un’ipotesi poco rispettosa della privacy e di fatto non percorribile. E poi perché non farlo anche per insegnanti, magistrati e politici? Anche se la personalità del medico è spesso un elemento centrale nel processo di cura, dobbiamo dunque accettare come inevitabile dato di realtà che anche tra i medici continueremo a trovare un’inevitabile percentuale di soggetti caratterialmente inadatti alla professione.
In secondo luogo, non credo che si debbano disdegnare i test di logica che sono la cosa più assimilabile al buon senso che oggi abbiamo a disposizione e che quest’anno sono stati purtroppo ridotti a solo cinque domande su sessanta. Riabiliterei anche i test di cultura generale perché, come diceva già a metà dell’Ottocento Rudolf Virchow, uno dei padri dell’igiene pubblica e della medicina preventiva, «La medicina è una scienza sociale, e la politica non è altro che medicina su vasta scala». Non si dà buona medicina al di fuori di una conoscenza, per quanto limitata, del mondo e della società che ci circonda. Infine, accetterei di buon grado una certa percentuale di domande tecniche.
Il problema è se debbano riguardare quello che i candidati hanno studiato nel corso delle scuole superiori o se debbano invece spingerli ad andare un po’ oltre. Non sarebbe forse male se, come si fa in altri paesi, venissero forniti con congruo anticipo, documenti e testi di riferimento sui quali prepararsi.
La selezione necessaria
Un’ultima riflessione riguarda il concetto di selezione. Se questo è l’obiettivo di un test, le domande dovranno essere tanto più difficili e sfidanti quanto maggiore è la selezione che si desidera fare. Come abbiamo detto, il test è stato superato da circa 28.000 candidati su di una disponibilità ad accoglierli nelle facoltà di Medicina che non supera i 15.000 posti. Il test ha dunque raggiunto, anche con una certa larghezza, il risultato desiderato. Se le domande erano davvero troppo difficili, allora dobbiamo essere contenti che, nonostante i limiti del nostro sistema scolastico, così tanti giovani siano stati capaci di prepararsi adeguatamente, di studiare intensamente e di rispondere correttamente.
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