- La Bce chiude l’era dei tassi negativi, annunciando un primo aumento di 25 punti-base a luglio che a settembre potrebbe essere maggiore se le previsioni di inflazione di medio termine dovessero peggiorare o persistere. Nel frattempo, il mercato farà parte del “lavoro sporco”, lavorando sulle aspettative;
- L’Italia perde un sostegno decisivo nel collocamento del debito pubblico, e la promessa della Bce di combattere la “frammentazione”, cioè lo spread fuori controllo, resta molto vaga. Una recessione globale innescata dalla stretta monetaria della Fed sarebbe ancor più dannosa;
- Il rischio per l’Italia è che nuovi aiuti Bce siano condizionati a misure correttive fiscali. Il florilegio onirico di promesse elettorali rischia di appassire contro il muro della realtà e richiedere ancora un governo guidato da una figura adulta di garanzia esterna.
La Banca centrale europea, nella riunione del 9 giugno, ha certificato quello che era già noto da tempo: la fine della politica di tassi negativi. Nella riunione di luglio il rialzo del tasso chiave sarà di 25 centesimi, per proseguire a settembre quando, se le previsioni di inflazione di medio termine dovessero persistere o deteriorarsi, l’aumento sarebbe superiore, verosimilmente nell’ordine dei 50 punti-base. Il solo effetto-annuncio causa l’aumento dei rendimenti di mercato, facendo parte del “lavoro sporco” di restrizione monetaria per conto della Bce.
Al netto dell’abituale giaculatoria su opzionalità, flessibilità e dipendenza dai futuri dati macroeconomici, in modo da non pre-impegnare il percorso di politica monetaria, questo è l’esito del compromesso tra falchi e colombe in seno al governing council.
I primi, turbati dall’inflazione e dal rischio che le aspettative degli agenti economici vadano a “disancorarsi”, cioè che si innesti una spirale prezzi-salari; le seconde (tra cui in prima fila l’italiano Fabio Panetta) a predicare cautela dato che lo shock dei prezzi origina dal lato dell’offerta, tra guerra e strozzature di filiera, e non dalla domanda.
Il rischio per l’Italia
La decisione della Bce è “storica” perché, dopo anni passati a supportare i deficit, soprattutto del nostro paese e durante la fase acuta dello shock pandemico, ora il rischio per l’Italia è quello di perdere un compratore decisivo per il nostro debito pubblico. L’andamento dello spread tra Btp e Bund indica i timori del mercato in una fase di rialzo dei rendimenti, penalizzando i grandi debitori.
È stato poi confermato il termine delle operazioni di acquisto di titoli da parte della Bce con decorrenza primo luglio, pur confermando che si proseguirà a reinvestire i titoli in scadenza “almeno sino a fine 2024”.
A questo proposito, da mesi la stessa Bce sta “telefonando” al mercato l’intenzione di agire per evitare la cosiddetta frammentazione, cioè che lo spread dei paesi più indebitati vada fuori controllo. Nel comunicato questa intenzione è confermata ma non dettagliata a livello operativo, e ciò concorre a spiegare la reazione fortemente negativa dello spread.
Si ribadisce che, per evitare turbolenze, gli acquisti da reinvestimento potranno essere calibrati nel tempo, per classe di attivi e giurisdizione. Tradotto, significa che in caso di emergenza si potranno comprare Btp in modo nettamente prevalente (o esclusivo) rispetto a quanto previsto dalle quote di partecipazione dei singoli paesi al capitale della Bce. Anche se a scadere saranno Bund.
Attenzione a questo punto: si tratterebbe di un salvataggio monetario in piena regola, che certamente porterebbe con sé nuove condizionalità, elaborate in seno alla Commissione europea con ratifica della Bce. Ma è sin d’ora certo che condizionalità non farebbe rima con deficit.
Torna quindi a riproporsi un pesante “rischio Italia”, fatto di crescita insufficiente e inferiore al costo del debito e che ci costringe a corposi avanzi primari che frenano ulteriormente l’espansione alimentando tensioni sociali e iniziative populiste. La prossima legislatura, che vista da oggi pare lontana un’era geologica date le condizioni del mercato, rischia di essere la ripetizione ancor più critica dell’inizio dell’attuale.
Pericolo recessione
Sul quadro congiunturale europeo incombe anche la grande incognita con cui si misurano i mercati: riuscirà la Federal Reserve a raffreddare l’inflazione (almeno, quella da domanda) senza causare una recessione conclamata? E per quanto tempo persisteranno condizioni di elevati prezzi delle materie prime in conseguenza delle sanzioni alla Russia?
Per quanto ci riguarda, questa domanda assume una valenza ancora più preoccupante, visto che siamo un paese ad elevato indebitamento, che quindi da condizioni recessive generali potrebbe subire forti deterioramenti dei conti pubblici e crisi di fiducia tra gli investitori internazionali. In tal caso, non si può neppure escludere il ritorno di attualità del famigerato Mes, il Meccanismo europeo di stabilità.
Da questa fine dell’epoca degli interventi salvifici della Bce, tornerà un feroce vincolo al fantasioso chiacchiericcio della politica. Il florilegio onirico di promesse elettorali che ci attende da qui alle elezioni rischia di appassire contro il muro della realtà, magari con la riedizione di un governo guidato da un salvatore della patria, o perlomeno di una figura adulta di garanzia esterna. Il cui identikit assomiglia in modo impressionante a quello dell’attuale presidente del Consiglio.
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