Il presidente Yoon era già noto per la sue collere e il suo carattere autoritario. E ha cercato di sfruttare il clima bellico che si è inasprito dopo l’appoggio della Corea del Nord a Mosca per forzare la mano. Ma Washington non intende appoggiare la fine della democrazia a Seul
Il presidente della Corea del Sud, Yoon Suk-yeol, era conosciuto per il suo carattere intransigente ma nessuno a Seul pensava davvero che potesse spingersi fino a provocare un golpe.
I coreani del sud sono molto attaccati alla loro democrazia, relativamente recente visto che fino al 1979 hanno subito varie forme di governi autoritari, inclusa la dittatura militare. Un ritorno indietro non lo vuole nessuno e probabilmente il presidente sarà estromesso con l’impeachment.
D’altronde dalle legislative dell’anno corso la sinistra è maggioritaria in Parlamento, a cui si aggiungono molti conservatori (il partito di Yoon) che non hanno visto di buon occhio la scelta di dichiarare lo stato di emergenza.
Un presidente in difficoltà
Il presidente è contestato sin dalla sua risicatissima vittoria nel 2022: poche migliaia di voti che, se non hanno dato luogo a inchieste per brogli o a riconteggi, hanno comunque incrinato la legittimità di Yoon. Da due anni si susseguono con regolarità ogni sabato a Seul le manifestazioni contro il presidente, accusato tra l’altro di malversazione e favoreggiamento dei propri parenti.
Da mesi la sua popolarità era già molto bassa (il 17per cento circa) e ciò deve averlo scosso, tenendo conto che in Corea la presidenza si può assumere per un solo mandato di 5 anni, non ripetibile. Non piaceva nemmeno la sua politica di austerità e i tagli al welfare, in particolare ai sussidi per gli anziani: la Corea ha un tasso di invecchiamento molto alto e togliere qualcosa alla terza età si paga nelle urne.
Per queste ragioni la sinistra democratica aveva avuto successo e il presidente non possedeva più la maggioranza in Parlamento. Ma la vera tensione si è creata sul dossier della Corea del Nord. Da una parte l’intervento nordcoreano nella guerra in Ucraina ha cambiato il quadro delle relazioni nella penisola coreana: mediate il suo coinvolgimento armato, Pyongyang ha spezzato l’isolamento (bene o male rispettato anche dalla Cina) ottenendo la promessa di aiuti consistenti dalla Russia. Dall’altra i sud coreani si sono opposti alla politica dura di Yoon Suk-yeol che ventilava un parallelo intervento militare sudcoreano.
La popolazione della Corea del Sud è divisa sul trattamento della questione settentrionale ma unita nel non voler la guerra con il nord. I vecchi e gli adulti vorrebbero una riunificazione pacifica; i giovani invece non si vedono più come lo stesso popolo. Nessuno però desidera lo scontro armato con Pyongyang, mentre Yoon Suk-yeol lo aveva auspicato più volte.
I venti di guerra
Il clima bellico che prevale nel mondo dall’inizio del conflitto in Ucraina, ha contagiato anche le due Coree: Seul è diventata una potenza nel commercio militare, vendendo 1000 tank alla Polonia e centinaia ad altri paesi occidentali. Pyongyang fornisce, com’è noto, munizioni ed altro materiale bellico a Mosca.
Il presidente sud coreano ha cercato a suo modo di sfruttare questa situazione accusando la sinistra del suo paese di “intelligenza” con il nemico del nord e provocando un quasi-golpe. Sperava nell’appoggio dell’esercito (e degli Usa) che invece non c’è stato: lo stato maggiore si è schierato con la democrazia, rifiutandosi di sparare su manifestanti e deputati.
Anche Washington, pur ribandendo l’alleanza di ferro con Seul, ha fatto capire di non apprezzare un’eventuale svolta autoritaria. La ricomposizione globale dovuta allo scontro tra le grandi potenze investe anche la Corea, posta su una frontiera molto sensibile, tra Indopacifico di marca Usa e influenze cinesi sempre più aggressive.
Seul sa bene che se ci dovesse essere una “guerra per Taiwan” si troverà in prima linea assieme al Giappone. Non a caso le due nazioni asiatiche si stanno riarmando e moltiplicano accordi e incontri per resistere in caso di conflitto.
La situazione globale è imprevedibile ed ogni schieramento può temere contraccolpi interni che lo indeboliscano. La Russia ha molto investito nella sua relazione con la Corea del Nord, ma ora sta perdendo in Siria. Dal canto suo Washington non può permettersi nessun rilassamento in Asia: appoggiare un presidente già screditato e noto per rivolgersi agli sciamani, non sarebbe certo un buon affare.
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