- i lavoratori autonomi viene permesso non solo di non pagare le due principali imposte del nostro ordinamento, ma anche di non contribuire al finanziamento della sanità e dei servizi pubblici locali.
- Siamo alla follia pura, alla discriminazione gratuita, alla sfrontata provocazione, alla totale irresponsabilità. Ma a oggi nessuno sembra voler mettere al primo posto la questione fiscale nella lotta politica.
- Bisogna creare un movimento di massa sul “fisco giusto”, e portarla avanti senza esitazioni e senza limiti. Il successo sarebbe garantito.
Si sta lentamente facendo strada la consapevolezza della enorme gravità della tassazione forfettaria prevista per i lavoratori autonomi e le imprese individuali con fatturati inferiori a 85mila euro, invece dei 65mila già ora in vigore.
Ne hanno parlato su questo giornale Giuseppe Pisauro, ripreso poi da Nadia Urbinati, e perfino a livello politico si è verificata una inattesa e ancora incerta presa di consapevolezza. A questi contribuenti, già a partire dal governo Conte I, era consentito di pagare una unica aliquota del 15 per cento in sostituzione dell’Iva, dell’Irpef, dell’Irap, delle addizionali regionali e comunali. Un privilegio “esorbitante”, come personalmente lo avevo definito fin dall’inizio, in virtù del quale alcune categorie di contribuenti potevano beneficiare di un trattamento tributario favorevole a dir poco scandaloso.
Guadagni fino a 10mila euro
Per esempio, a un livello di reddito effettivo di 35mila euro un lavoratore dipendente paga 2.600 euro in più di un autonomo, e un pensionato 4.500 euro in più. Ora, con l’estensione a 85mila euro, il guadagno per l’autonomo potrà risultare pari anche a 10mila euro.
Sistemi di determinazione forfettaria dell’Iva a scopo di semplificazione amministrativa e gestionale sono previsti anche in altri paesi europei, ma l’estensione del meccanismo ad altre imposte, e la fortissima agevolazione concessa in Italia, risultano chiaramente abnormi, inaccettabili, e discriminatorie rispetto agli altri contribuenti, e fortemente distorsive sul piano economico, incentivando anche nuova evasione.
Ai lavoratori autonomi e in particolare alla quasi totalità dei professionisti viene permesso non solo di non pagare le due principali imposte del nostro ordinamento, ma anche di non contribuire al finanziamento della sanità (Irap) e dei servizi pubblici locali (addizionali). Siamo alla follia pura, alla discriminazione gratuita, alla sfrontata provocazione, alla totale irresponsabilità.
Tanto più che questi contribuenti, in base ai dati ufficiali pubblicati annualmente, sono anche quelli che evadono il 65-70 per cento delle loro basi imponibili Irpef: non solo la loro evasione non viene contrastata, ma al contrario viene ritenuta meritevole di un “premio esorbitante”.
C’è da chiedersi quale sia, o possa essere, la giustificazione di una tale misura in termini non solo di logica del sistema tributario, o di equità e parità di trattamento dei cittadini.
Da quello che si intravede, si tratta della convinzione che i contribuenti non sono eguali di fronte alla legge in quanto i lavoratori autonomi e individuali assumono rischi, producono ricchezza e sono poco tutelati e quindi meritano un trattamento privilegiato.
I lavoratori dipendenti, al contrario sono protetti e tutelati, e se operano nel settore pubblico sono anche spesso inefficienti, se non parassitari. Quanto ai pensionati essi sono improduttivi, sono alla fine della loro vita, hanno minori bisogni, pesano già tanto in spese previdenziali e sanitarie, e quindi non possono pretendere di più.
La cosa singolare è che tale punto di vista sembra ormai egemone, ed è, almeno nei fatti, condiviso da tutti. I sindacati hanno ignorato le distorsioni provocate dalla misura introdotta ai tempi del Conte 1, e hanno trovato ora una sponda politica nel Movimento.
Conte non ha (ancora) ritenuto necessario o per lo meno utile sconfessare una misura imposta da Matteo Salvini, ma fortemente voluta da Laura Castelli e Luigi Di Maio i suoi più strenui avversari interni, dimenticando che la giustizia fiscale rimane un caposaldo di ogni posizione di sinistra, o anche, se qualificarsi di sinistra appare al M5S eccessivo o troppo compromettente, progressista.
Il Pd ha da tempo rimosso la questione fiscale dalla sua agenda. A tutt’oggi nessuno sembra voler mettere al primo posto la questione fiscale nella lotta politica, salvo Articolo 1 e, fino alla scorsa legislatura, Leu.
Ma è esattamente quello che sarebbe necessario fare sia per evocare e chiedere giustizia, sia per sottolineare come le discriminazioni fiscali ingiustificate creano inefficienze economiche e arretratezza che danneggiano il Paese mantenendolo con lo sguardo rivolto al passato.
Due proposte subito
Che fare quindi? È necessario a mio avviso sollecitare e mobilizzare l’opinione pubblica a tutti i livelli sulla enorme rilevanza dell’argomento, e su due proposte per iniziare.
La prima è l’eliminazione totale del forfait e la destinazione delle risorse così recuperate alla riduzione del cuneo fiscale, la seconda – più importante - integrare l’articolo 53 della Costituzione, inserendo esplicitamente nella sede propria, oltre al principio di progressività (l’equità “verticale”) anche l’altra componente, l’equità «orizzontale», aggiungendo dopo «criteri di progressività» le parole «e di generalità e uniformità del prelievo».
Si tratta di creare un movimento di massa sul “fisco giusto”, e portarla avanti senza esitazioni e senza limiti. Il successo sarebbe garantito. Al tempo stesso sarebbe necessario completate il sistema di welfare estendendolo pienamente in tutte le sue componenti anche a professionisti, artigiani, commercianti, e altre attività economiche individuali.
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