- La novità della bomba sganciata direttamente dal Vaticano contro il ddl Zan è rappresentata dal fatto che non ci sono novità nella postura della chiesa cattolica nei confronti degli omosessuali. A questa posizione, sancita nella legge fondamentale della chiesa, papa Francesco si è sempre mantenuto rigorosamente fedele.
- Dall’altro lato, la stessa chiesa è, da sempre, disponibilissima, al di là dei pronunciamenti ufficiali, ad accogliere nutrite schiere di gay nei ranghi del proprio clero. Nei confronti di quegli omosessuali che scelgono la vita presbiterale essa mostra il suo volto più amorevole e accondiscendente.
- Ma per poter alimentare questo circuito e per potersi continuare a presentare come un luogo accogliente per omosessuali disposti a divenire funzionari fedeli, affidabili e privi di altri vincoli affettivi che non siano quelli con l’istituzione, la chiesa ha bisogno che l’omosessualità continui a essere stigmatizzata e condannata nella società
Il merito principale della bomba sganciata direttamente dal Vaticano, scavalcando la Cei e rinunciando a ogni finezza diplomatica, contro il ddl Zan e il parlamento italiano che lo sta da tempo discutendo è quello di fare chiarezza, speriamo una volta per tutte. La novità è rappresentata dal fatto che non ci sono novità nella postura della chiesa cattolica nei confronti degli omosessuali. L’atteggiamento nei loro confronti è quello enunciato con limpida precisione nel catechismo attualmente in vigore: «Appoggiandosi sulla sacra scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati”». Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati.
Nel comma successivo, gli estensori del catechismo precisano che «un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione».
Il significato di queste parole è chiarissimo e non equivocabile: l’omosessualità è, per il cattolicesimo, una depravazione e la fonte di un grave disordine morale e rappresenta una ragione di grande sofferenza per coloro che ne sono afflitti; costoro sono obbligati a osservare una castità assoluta (comma 2359) mentre la chiesa e la comunità cristiana sono tenute ad agire nei loro confronti con tutta la sensibilità e la pietà delle quali sono capaci, la medesima che si riserva in genere a quelle categorie sociali per qualche ragione ritenute svantaggiate o particolarmente miserabili.
Omosessualità e clero
A questa posizione, sancita nella legge fondamentale della chiesa, papa Francesco si è sempre mantenuto rigorosamente fedele: da vescovo, quando ha combattuto con tutte le sue forze il matrimonio gay voluto dalla presidente peronista Cristina Kirchner, da papa, sia nel redigere la Amoris Laetitia, quando ha evitato di apportare, potendolo fare, qualsiasi modifica all’impianto che ho menzionato sopra, sia quando ha invocato la necessità, per i cristiani, di usare misericordia e comprensione verso gli omosessuali e in numerose altre occasioni. Tutto il resto, la leggenda del papa amico dei gay, è partorito dalla fervida fantasia di tanti giornalisti e uomini di cultura che hanno tanto spesso sovrapposto i loro desideri e le loro aspettative all’esame della dura realtà.
Del resto, Francesco va compreso. Il rapporto con l’omosessualità non è, per il cattolicesimo, una semplice questione geopolitica o un problema che possa essere gestito con una qualche trovata tattica: è il nodo più intricato, la contraddizione più profonda di tutto l’edificio ecclesiale. Da un lato, infatti, la chiesa appare terrorizzata dall’omosessualità, spesso descritta in una forma caricaturale e equiparata a una malattia, e dagli omosessuali, immancabilmente descritti come un gruppo misterioso e del tutto estraneo all’istituzione, ai quali propone un modello di vita basato sull’autoibernazione, sull’isolamento volontario dal contesto sociale e sul silenzio colmo di vergogna.
Dall’altro lato, la stessa chiesa è, da sempre, disponibilissima, al di là dei pronunciamenti ufficiali, ad accogliere nutrite schiere di gay nei ranghi del proprio clero. Nei confronti di quegli omosessuali che scelgono la vita presbiterale essa mostra il suo volto più amorevole e accondiscendente e si mostra interessata ad accogliere, coccolare, formare affettuosamente e conferire potere e responsabilità a tantissimi omosessuali capaci di agire con discrezione, tatto e riservatezza nella gestione delle loro questioni affettive e sessuali. La norma del celibato obbligatorio, e quindi l’ufficiale “neutralità affettiva” dei preti, consente di oscurare in via permanente questo dato così segreto e però così essenziale per la vita della chiesa.
La forza pedagogica
Ma per poter alimentare questo circuito e per potersi continuare a presentare come un luogo accogliente per omosessuali disposti a divenire funzionari fedeli, affidabili e privi di altri vincoli affettivi che non siano quelli con l’istituzione, la chiesa ha bisogno che l’omosessualità continui a essere stigmatizzata e condannata nella società, che i gay vengano messi al bando e che non vedano altra via che quella di vivere la propria condizione con modestia e discrezione o, meglio, di farsi preti.
Se questa è la situazione, è indubbio che provvedimenti legislativi come il ddl Zan rappresentino, per la chiesa, un pericolo reale e gravissimo. Non tanto o non solo per le modifiche che apportano al codice penale, per l’inasprimento delle pene che colpiscono gli autori delle discriminazioni. La loro pericolosità risiede soprattutto nella loro forza simbolica, o ideologica che dir si voglia, nel fatto che promuovono una pedagogia distruttiva per la solidità della chiesa.
La legge Cirinnà sulle unioni civili, che pure fu accolta con grande ostilità dalle autorità ecclesiastiche e avversata da un imponente Family Day romano, appariva meno minacciosa e non solo perché alla fine le conseguenze peggiori, e cioè l’equiparazione piena al matrimonio e soprattutto la possibilità di adottare per le coppie omosessuali, vennero scongiurate, ma anche perché più ridotta appariva appunto la forza pedagogica, la carica ideologica. Quella che è invece contenuta in forma esplosiva nel comma 7 del ddl Zan che istituisce la Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e latransfobia prevedendone la celebrazione in modo adeguato in tutte le scuole, comprese quelle cattoliche.
È una misura dal fenomenale impatto politico-culturale che equipara simbolicamente, agli occhi di milioni di studenti italiani, gli omosessuali ad altre popolazioni discriminate e perseguitate nella storia europea e mondiale. Per la chiesa e per il suo capo accettare tutto questo vuol dire prosciugare l’acqua in cui essa nuota, digerire un boccone troppo amaro che è meglio rispedire al mittente sperando che non sia troppo tardi.
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