Siamo entrati ormai nell’èra della de-globalizzazione, ma esiste una parola che sembra rendere bene, oltre a quella geopolitica, anche la dimensione emotiva di questo scenario
Per decenni siamo stati così impegnati a indicare i pericoli della globalizzazione da esserci distratti quando il suo regno ha imboccato il viale del tramonto. Eppure, dal modo in cui stiamo affrontando le crisi globali in corso, è sempre più evidente come una parte crescente della politica mondiale abbia volto lo sguardo altrove alla ricerca di soluzioni possibili.
A un primo sgretolamento delle relazioni internazionali è, infatti, seguita la costruzione di muri di sfiducia: barriere di incomunicabilità, dietro le quali i comportamenti ormai indecifrabili degli avversari danno adito a presagi ogni giorno più torbidi, fino a che i sospetti di un’imminente aggressione sono diventati la regola.
Una diffidenza le cui conseguenze si riverberano su ogni meccanismo di reciprocità. Senza fiducia si interrompono gli scambi commerciali e gli investimenti. Insieme al denaro, cala la circolazione delle idee: quel vitale confronto del pensiero, cuore dell’evoluzione della conoscenza.
Una questione che non investe solo il campo dell’innovazione tecnologica e scientifica: a soffrirne è anzitutto quella creatività intellettuale necessaria per immaginare soluzioni nuove alle sfide presenti e future. Uno scenario reso più fosco da una complicazione ulteriore: le moderne autarchie propongono articolate risposte locali a fronte di problemi destinati a rimanere globali.
Viceversa, la frammentazione finisce per moltiplicarne l’entità: guerre, dazi e sanzioni sono terreno fertile per l’inflazione, e l’incertezza pesa sulle scelte dei cittadini quanto l’aumento dei prezzi.
L’immagine giusta
Fin qui, nostro malgrado, nulla di nuovo. Ciò su cui merita riflettere è, piuttosto, la dimensione emotiva e collettiva che accompagna questo scenario. Un termine efficace per descriverla ci viene suggerito dall’ultimo saggio dell’economista Marco Magnani Il grande scollamento. Timori e speranze della globalizzazione (Bocconi University Press 2024).
L’espressione “scollamento”, utilizzata dallo studioso per delineare la rottura delle relazioni all’origine della deglobalizzazione, finisce per rappresentare bene la precaria condizione che investe la società occidentale e gli stessi sforzi a cui essa è chiamata per farvi fronte.
In un presente in cui gli stati si fanno “isola”, è naturale che i cittadini si sentano soli, confusi e senza risposte. Perché lo scollamento non è una semplice scissione, un taglio netto che divide due parti da quel momento definite in modo distinto. Esso evoca un processo più doloroso, incerto e molto più… “sporco”.
Assistiamo all’informe separazione di entità che avevano trovato una loro dimensione nello stare unite attraverso molteplici collanti ideali, che fossero essi valori comuni, interessi economici, o il semplice quieto vivere.
Quel cemento oggi non basta più, ma di certo non svanisce all’istante: lascia residui e filamenti viscosi, capaci di impiastrare le dita di chi prova a intervenire. Le stesse superfici scollate restano monche: non più unite, ma nemmeno del tutto separate e non è detto che i pezzi riescano a tornare a combaciare.
Un compito urgente
Che fare al cospetto di una situazione di tale sospensione non è una scelta ovvia. Come ben sa chiunque si sia trovato di fronte a una rovinosa prova di bricolage, il primo istinto è di buttare via tutto e riacquistare l’oggetto integro. L’altra alternativa è faticosa: sporcarsi le mani e provare a reincollare i frammenti, ben sapendo, tuttavia, che il tentativo renderà la frattura ancora più vistosa.
L’ora di pronunciarsi è certamente giunta per la politica, chiamata a stabilire come intende affrontare lo scollamento del mondo post globale anziché rimanere esitante di fronte a un cumulo di cocci.
Ma prima ha un compito ancora più urgente: restituirci la speranza che, a fine dell’opera, le nostre dita non saranno più ricoperte di colla e frammenti, ma che qualunque risultato emergerà dalla scelta intrapresa sarà frutto di una decisione consapevole e risoluta. Sarebbe già un’impresa sufficiente affinché molte persone, che oggi si sentono “scollate” dalla realtà che le circonda, possano provare a ricomporsi.
© Riproduzione riservata