- La manovra del governo è un’accozzaglia di provvedimenti per contributi a pioggia.
- Manca una visione chiara per il futuro.
- Serve una seria pianificazione strategica che forse questo governo ha il tempo di fare.
Un tempo sui tram vi era una targhetta con scritto “È vietato parlare al manovratore”. Ma dopo aver letto la ilancio del governo in carica può forse essere utile parlare al manovratore, cioè al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
La prima impressione che si riceve dalla lettura dei 136 articoli della legge di bilancio è che anche questo governo, come tutti quelli che lo hanno preceduto dalla fine della seconda guerra mondiale, non conosca e non voglia fare una pianificazione strategica per i prossimi cinque anni, ma pensi solo a soddisfare le richieste degli esponenti dei partiti di governo con un’accozzaglia di provvedimenti inefficaci.
La pianificazione strategica
Nei primi anni Sessanta, economisti come Giorgio Ruffolo, Luigi Spaventa e Nino Andreatta, cercarono di disegnare un processo di pianificazione strategica basato su modelli matematici già sviluppati in altri paesi come l’Olanda, un documento che traduce gli orientamenti politici del governo in uno strumento organizzativo sotto costante controllo.
Ma fino agli anni Novanta i governi italiani raramente superavano un anno di vita, mentre la pianificazione strategica si sviluppa su cinque o dieci anni.
Oggi ci sarebbe un gran bisogno di una pianificazione costruita sulle necessità economiche, sociali, culturali del paese. Invece, sempre con la mente occupata dalla propaganda elettorale, in questa manovra si è insistito sulla flat tax (articolo 11) che riduce il gettito fiscale, privilegia gli evasori e crea disuguaglianze inaccettabili.
Un artigiano che ha 85.000 euro di reddito lordo paga 12.750 euro di imposta. Un lavoratore dipendente con lo stesso reddito lordo paga 29.350 euro, pari a un’imposta media del 34 per cento.
Ancora sul piano fiscale l’elevazione del contante a 5.000 euro (articolo 68) e la rottamazione delle cartelle esattoriali fanno parte di una propaganda elettorale inutile all’inizio della legislatura, quindi di una visione a breve termine. Si è poi arrivati al ridicolo con la detassazione delle mance all’articolo 13.
Sulle pensioni la confusione regna sovrana. Con l’articolo 51 si è trovato l’escamotage di quota 103 per tacitare Salvini, ma la spesa per le pensioni sta esplodendo e arriverà a pesare per il 40 per cento della spesa pubblica, esclusi gli interessi sul debito.
La legge Fornero è già superata. Bisogna pensare a una riforma che preveda il pensionamento a 70 anni, come già succede per professori universitari e magistrati. Ovviamente fatto salvo il pensionamento anticipato per i mestieri usuranti.
Il reddito di cittadinanza non va abolito, ma solo riformato perché un sussidio alle famiglie bisognose fa parte del welfare di un paese civile e democratico.
Alla fine, all’articolo 79 risalta fuori il ponte sullo stretto che è già costato un patrimonio al contribuente italiano. Un ponte che collegherebbe niente con niente perché da una parte e dall’altra mancano una rete stradale e una rete ferroviaria adeguate.
Alla sanità gli articoli 83-87 destinano briciole mentre sarebbero necessari fondi consistenti per la piena attuazione della legge 833 del 1987 che assicura l’assistenza sanitaria per tutti, fermando le tendenze a favorire l’entrata dei privati che in Lombardia ha sensibilmente ridotto l’efficienza della medicina di assistenza, come ha dimostrato la pandemia.
Il titolo VII è dedicato alla scuola, università e ricerca. Di positivo si trova l’attenzione allo sviluppo della conoscenza nelle materie matematiche, scientifiche e tecnologiche ma poi si trova solo uno stanziamento di 7 milioni di euro per borse di studio universitario. Niente sulla ricerca. Eppure è su queste aree che nasce la crescita e quindi il benessere dei cittadini.
A medio-lungo termine
Come si vede, nella manovra manca una visione di lungo termine che si sviluppa in un processo di panificazione strategica.
Manca l’idea di una riforma fiscale realmente destinata a combattere l’evasione e l’elusione d’imposta e a distribuire il carico fiscale sulla capacità contributiva di ogni cittadino come stabilisce la costituzione. Da tutto questo pare emergere un governo impreparato a guidare questo paese.
Infrangendo la regola di non parlare al manovratore, potremmo suggerire a Giorgetti, che dirige il ministero a cui è demandata la pianificazione strategica, di impegnarsi a costruire un documento che traduca gli obiettivi politici di questo governo in direttive di medio-lungo termine per aumentare il benessere degli italiani.
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