Il governo ha impugnato per incostituzionalità la legge della Regione Puglia, che subordina l’iscrizione a percorsi di istruzione, dalle scuole medie all’università, alla presentazione di documenti attestanti l’avvenuta vaccinazione anti-Hpv o il suo rifiuto consapevole. Qualunque cosa decida la Consulta, il trattamento di dati personali previsto dalla legge comunque viola la normativa privacy
Anche le intenzioni più nobili rischiano di essere vanificate se le modalità con cui sono realizzate travalicano i paletti posti dalla legge. Avrebbe dovuto essere una delle lezioni imparate dalla pandemia, ma evidentemente così non è.
Il riferimento è alla legge della Regione Puglia, approvata nel maggio scorso (n. 22), in materia di misure per l'aumento della copertura della vaccinazione anti Papilloma virus umano (HPV). In sintesi, per iscriversi a percorsi di istruzione tra gli 11 e i 25 anni, dalle scuole medie all’università, è necessario presentare documenti che dimostrino l’avvenuta vaccinazione anti-Hpv oppure un certificato rilasciato dalle Asl che attesti la somministrazione, l’avvio del programma vaccinale o il rifiuto consapevole della vaccinazione.
Il governo, come aveva preannunciato subito dopo l’emanazione della legge, l’ha impugnata dinanzi alla Corte Costituzionale.
Motivi di incostituzionalità
Secondo quanto si legge nel ricorso, le disposizioni sugli obblighi vaccinali della legge pugliese sarebbero incostituzionali in quanto riguardano materie rientranti nella competenza esclusiva del legislatore statale, fra le quali la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (Lea) e le norme generali sull’istruzione (art. 117, comma 2, lett. m) e n), Cost.). Tali disposizioni determinerebbero anche «una disparità di trattamento rispetto agli alunni e agli studenti frequentanti scuole e università di altri territori, (…) rendendo disomogenea, sul territorio nazionale, la disciplina riguardante l’iscrizione scolastica e universitaria, con possibili riflessi sul rispetto del principio di uguaglianza, di cui all’art. 3 Cost.». Tra l’altro, ciò sarebbe in contrasto con il Piano nazionale prevenzione vaccinale 2023-2025 e il relativo Calendario nazionale vaccinale, che «hanno lo scopo primario di armonizzare le strategie vaccinali messe in atto nel Paese» indipendentemente «dal reddito, dal livello socioculturale e dallo status giuridico dei soggetti interessati».
Inoltre, afferma il ricorso, la presentazione di documenti che attestano gli adempimenti vaccinali, ancorché superabile con un formale rifiuto, risulterebbe un onere rispetto alla piena fruizione del diritto allo studio riconosciuto incondizionatamente a tutti (art. 34 Cost.), tanto più perché tale onere riguarderebbe anche alunni che frequentano la scuola dell’obbligo.
Il Garante privacy
Qualunque sarà la decisione della Corte costituzionale sulla legge pugliese, i trattamenti di dati personali che essa prevede «violano la normativa privacy». Lo ha affermato nell’agosto scorso il Garante per la protezione dei dati personali con un “avvertimento formale” inviato alla Regione Puglia.
Se la Corte dichiarasse l’illegittimità della legge – afferma il Garante – i trattamenti posti in essere dalla Regione resterebbero privi di una base giuridica. Ma anche in assenza di una pronuncia di illegittimità, la legge sarebbe contraria alla disciplina privacy. Innanzitutto, il trattamento di dati relativi alla salute è lecito esclusivamente in presenza di una legge statale. Solo una normativa uniforme a livello nazionale può autorizzare le scuole ad acquisire documentazione sanitaria.
Inoltre, i trattamenti previsti dalla legge pugliese «non sarebbero comunque conformi ai principi di necessità e proporzionalità previsti dal Regolamento Ue (Gdpr)». La diffusione capillare di informazioni da parte delle autorità sanitarie e scolastiche «sull’utilità della vaccinazione anti papilloma virus umano, così da debellare le infezioni e prevenire le relative conseguenze cancerose», potrebbe essere raggiunta attraverso misure che non comportino una raccolta massiva di informazioni. «Tali misure potrebbero concretizzarsi in attività di sensibilizzazione, anche all’interno delle scuole, da parte dei soggetti preposti in ambito sanitario, quali, ad esempio, incontri e messa a disposizione di materiale informativo».
La raccolta generalizzata di dati personali dei soggetti interessati va evitata anche in considerazione della «particolare delicatezza delle informazioni trattate, sulla salute, e dei soggetti coinvolti, soprattutto minori di età, anche al fine di prevenire possibili effetti discriminatori per coloro che non possano o non intendano sottoporsi alla vaccinazione».
Durante la pandemia su queste pagine abbiamo più volte scritto che la disciplina privacy non ostacola la tutela della salute umana, obiettivo che può essere raggiunto nel pieno rispetto del diritto. Chi occupa ruoli di potere dovrebbe finalmente rendersene conto.
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