- Il cosiddetto terzo polo di Matteo Renzi e Carlo Calenda si candida a fare da stampella al governo della destra.
- Questo scivolamento filo-governativo, almeno rende impraticabile la strategia di utilizzare ancora il Pd come un terreno di pascolo per procacciarsi voti alla bisogna.
- L’idea che il Pd potesse essere considerato un partito dal quale ciascuno può attingere risorse grazie alla sua disponibilità senza riserve, è stata favorita dalla sua stessa incertezza ideologica e strategico-politica.
Il cosiddetto terzo polo di Matteo Renzi e Carlo Calenda si candida a fare da stampella al governo della destra. Lo testimonia la dichiarata disponibilità ad aiutare Giorgia Meloni, definita con toni di sufficienza maschilista come la povera e inesperta fanciulla di palazzo Chigi (testualmente: «la premier è nuova e va aiutata»). Il passaggio illumina la potenziale direzione di marcia dei terzopolitisti.
Essendo fallito quello sfondamento elettorale che tanti analisti ritenevano possibile – magari solo perché lo dicevano loro, ignorando le dinamiche del comportamento elettorale degli ultimi vent’anni - incomincia a definirsi il progetto di Azione e Italia Viva.
Invece di assumere una postura di netta opposizione insieme a Pd e M5s, offrono ora come potenziale soccorso al governo in caso di necessità, viste le insoddisfazioni di forzisti e leghisti verso l’asso pigliatutto meloniano.
Questo scivolamento filo-governativo, almeno – ex malo bonum – rende impraticabile la strategia di utilizzare ancora il Pd come un terreno di pascolo per procacciarsi voti alla bisogna, come ha fatto lo stesso Calenda quando ha usato i democratici come un taxi per costruire la sua carriera politica.
O come intendeva fare anche recentemente quando cercava di imporre ai democratici la candidatura di Letizia Moratti alla presidenza della regione Lombardia, dimostrando così di poterlo manovrare a piacimento.
L’idea che il Pd potesse essere considerato un “partito-gradisca” di felliniana memoria, dal quale ciascuno può attingere risorse grazie alla sua disponibilità senza riserve, è stata favorita dalla sua stessa incertezza ideologica e strategico-politica.
Quando il Pd si è presentato all’elettorato sventolando come propria l’agenda di un governo dove il partito aveva contato come il due picche, ha legittimato la visione di una forza politica fluida, disponibile ad essere attraversata dalle scorrerie di altri.
Il Pd non ha ancora superato questa debolezza, non ha marcato in maniera precisa il proprio territorio. L’accelerato percorso congressuale, ormai tutto incentrato sulla solita disfida delle primarie senza alcun dibattito degno di questo nome - figurarsi se doveva esserci una rifondazione - non è un buon viatico per il futuro.
Almeno, però, dovrebbe essere chiaro da che parte stare nei rapporti con gli altri: se con i novelli “responsabili” , disponibili verso la sperduta premier tanto bisognosa di consigli, o con i più barricadieri pentastellati, assai meno presentabili nei salotti buoni ma accolti molto meglio tra i ceti sociali in difficoltà.
Di fronte al governo più a destra di tutto l’Occidente non ci possono essere ambiguità, strizzatine d’occhio e disponibilità. L’intransigenza, oggi, è una virtù. Come è lo stata, di pochi coraggiosi, un tempo.
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