La strategia della destra è di minimizzare le proprie capacità di male. La mediocrità dei propositi è tuttavia preoccupante, in primo luogo perché fa proseliti tra quell’area grigia che si autoproclama liberal-moderata e che pensa di avere la capacità di dare moderazione alla destra, domandone le pretese autoritarie
Un mio collega, Jon Elster, straordinario teorico e metodologo sociale, noto ai più per la teoria della scelta razionale, confessava di non capire il significato dell’idea di “banalità del male”.
Dialogando con lui, gli prospettavo la possibilità di un’interpretazione italianizzata, ovvero meno pretenziosa, quella di “mediocrità del male”.
In effetti, l’approssimazione, la piccola battaglia per la propria parte, la propria tasca, i propri amici o parenti, è capace di tanto male, pur all’ombra di un quasi male.
La conversazione con Elster mi è venuta alla mente in questi giorni, leggendo l’articolo di Gianni Cuperlo su questo quotidiano a commento delle violenze perpetrate dalla destra in parlamento o quelli su alcuni media francesi che ci informano del notabilato lepenista.
Violenza e affarismo, gruppi di parentela e aggregazioni di interessi tra simili: la destra mette insieme un repertorio dei più mediocri e crea le condizioni per fare molto male alle istituzioni liberaldemocratiche.
La strategia della destra è di minimizzare le proprie capacità di male. La mediocrità dei propositi è tuttavia preoccupante, in primo luogo perché fa proseliti tra quell’area grigia che si autoproclama liberal-moderata e che pensa di avere la capacità di dare moderazione alla destra, domandone le pretese autoritarie.
La mediocrità ci salverebbe, insomma; questa destra è normalizzabile. Non è più “quella” che aveva pianificato il male per mezzo della tecnologia e del legalismo, aperto le prigioni ai nemici politici e i campi di concentramento ai nemici etnici. Nulla di tutto questo.
Oggi, la destra è blanda abbastanza, mediocre abbastanza, da poter essere governata; e i moderati di turno sarebbero in grado di farlo.
In Europa, questa via alla normalizzazione l’ha aperta niente meno che Angela Merkel, la quale, forse anche per ragioni di interessi economici tra il suo paese e quelli dell’Europa dell’est da poco emancipati dal comunismo, pensò che fosse saggio e possibile normalizzare Viktor Orbán accogliendolo tra i popolari.
Una piccola virata a destra non avrebbe cambiato il percorso della Ue, anche perché c’era comunque una forte componente socialdemocratica.
Oggi, questa strada viene lambita da Ursula von der Layen, benché in una congiuntura che vede i socialisti indeboliti e le destre scalpitanti a ovest della Mosella e a sud delle Alpi. E tuttavia vi è chi, sia in Francia che in Italia, scommette sulla normalizzazione delle destra, affidandosi alla “mediocrità”: non è più la destra cattiva.
Eppure, è proprio questa “mediocrità” – di contenuti e di stili – che ci dovrebbe allarmare.
Violenze giustificate come “disordini”; politiche antiabortiste che diventano silenzi e rieducazione delle donne delegata a gruppi antiabortisti; decisioni repressive ma praticate su minoranze (i rave, i mascalzoncelli che marinano la scuola, i facinorosi che vanno in piazza); assalto alle libertà di scelta sessuale, ma presentato come campagna per la difesa della famiglia “naturale”; politiche di diseguaglianza sociale, ma rese come richiamo alla responsabilità personale per cui ciascuno è causa della propria miseria; politiche di dissanguamento della sanità e della scuola pubbliche, ma con l’argomento a favore della pluralità dell’offerta.
Il tutto come premessa della “mediocrità” massima: una riforma della Costituzione che sottomette il parlamento all’esecutivo, ma presentata come il “far scegliere” il capo agli elettori. Plebiscito scambiato per voto elettorale.
Una mediocrità rispetto al listone del 1924.
© Riproduzione riservata