Ha fatto giustamente clamore la sorprendente decisione di papa Francesco di nominare una donna, suor Simona Brambilla, a capo del dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata. Si tratta di una decisione senza precedenti resa possibile da un’innovazione giuridica approvata qualche tempo fa che rende possibile affidare un dicastero vaticano a un laico non ordinato e quindi anche a una donna.

Il valore e l’importanza del provvedimento sono evidenti: da questo momento un incarico importante come quello affidato a suor Brambilla non è più esclusivo appannaggio del clero, non pertiene più alle competenze esclusive dei sacerdoti.

Detto questo, è difficile considerare questa una decisione davvero rivoluzionaria. Accanto alla luce che proviene dalla nomina io vedo infatti delinearsi due grosse ombre, di dimensioni crescenti.

Le ombre 

La prima proviene da un’altra circostanza inedita presente nella decisione di Francesco: quella di affiancare a suor Brambilla un pro-prefetto nella persona del cardinal Ángel Fernández Artime , 64enne ex superiore generale della potentissima congregazione dei salesiani. Gli argomenti emersi in questi giorni per giustificare questo sorprendente affiancamento non convincono per niente e non sono nel complesso sufficienti a spazzare via il sospetto molto concreto che il vero capo del dicastero sarà il cardinale spagnolo e non la suora italiana. Tra l’altro, l’altissimo prelato era indicato in tutti i pronostici come il favorito per la carica di prefetto.

La seconda ombra è decisamente più grande della prima e consiste nel fatto che appare ormai chiara la linea che il papa intende seguire nei confronti delle donne: da un lato negare loro qualsiasi possibilità di accesso all’ordinazione diaconale (figuriamoci a quella sacerdotale!) consentendo loro, dall’altro, l’accesso a ruoli dirigenti nella curia romana. In altre parole, le uniche donne a cui viene offerta nella chiesa bergogliana la possibilità di occupare posti di responsabilità sono quelle pochissime che il papa-monarca o, al livello più basso, i vescovi (sempre maschi, anche loro come il papa) nelle loro diocesi scelgono in assoluta libertà come loro collaboratrici.

Senza uguaglianza

Qualcuno può pensare che questa soluzione rappresenti davvero un grande avanzamento sulla via del raggiungimento di un’eguale dignità di uomini e donne nella chiesa? Per fare un paragone: può bastare che, in un regime di apartheid che prevede la negazione del diritto di voto ai neri, una persona dalla pelle nera sia designata come collaboratore dal capo dello stato (ovviamente bianco) perché si possa dire che l’eguaglianza è stata raggiunta? Davvero la nomina di suor Brambilla (e di quelle poche che verranno eventualmente dopo di lei investite di incarichi analoghi) può compensare il soffocamento delle aspirazioni di migliaia di donne che, nel mondo, desidererebbero essere diacone o sacerdotesse e che già oggi avrebbero tutte le competenze teologiche necessarie?

E del resto la questione non riguarda solo la soddisfazione di alcune, pur legittime, aspirazioni personali, ma piuttosto l’impatto politico, culturale e simbolico che la scelta di introdurre l’ordinazione femminile avrebbe per tutta la chiesa in tutto il mondo.

La nomina di suor Brambilla è stata accolta, almeno dalla stampa italiana come un evento rivoluzionario. Il segno di una straordinaria benevolenza del pontefice per il genere femminile, ma c’è da scommettere che di costei, il cui incarico è comunque fiduciario e revocabile dallo stesso pontefice, non sentiremo più parlare non essendo una femminista e non avendo mai fatto mostra di voler avanzare istanze di cambiamento radicale. Suor Brambilla eseguirà la sua importante mansione con la discrezione, il riserbo e la moderazione che si addicono a chi occupa poltrone come la sua. Ne siamo sicuri.

Ben diverso sarebbe l’impatto del sacerdozio femminile. Pensiamo a quelle bambine in età da catechismo che partecipassero a una messa vedendo sull’altare una donna adulta con indosso i paramenti e nell’atto di consacrare le ostie, di leggere il Vangelo, di pronunciare un’omelia, di fare tutto quello che oggi nel cattolicesimo fanno solo i preti maschi. Pensiamo all’effetto che questo avrebbe sull’immagine che quelle bambine, e ovviamente anche i loro coetanei maschi, si farebbero di Dio, della legge, dell’autorità, eccetera.

Insomma a me pare chiaro, per dirlo con una formula, che una nomina non valga una messa e che per l’accidentato cammino delle donne nella chiesa le riforme strutturali che, lo abbiamo ormai compreso, non verranno da questo pontificato rappresentino una ferita profonda per la quale una nomina come quella di suor Brambilla è poco più di un cerotto rattoppato.

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