«Il Movimento 5 Stelle si è ricostruito, è tornato più forte di prima», ha detto a un certo punto l'ex senatrice Paola Taverna, incaricata di condurre la manifestazione di ieri. La verità che voleva ascoltare Giuseppe Conte. Mai pronunciati i nomi dei fondatori: Gianroberto Casaleggio, scomparso nove anni fa, il 12 aprile 2016, e Beppe Grillo, sconfitto e silenziato. Ben più della consultazione di dicembre, che serviva a sbarazzarsi dell'ingombrante presenza del garante Grillo, la manifestazione dei Fori Imperiali vale un congresso di rifondazione.

L'affollata piazza di Roma, organizzata «a nostre spese», ha sottolineato Conte, piena delle bandiere arcobaleno della pace non rappresentate solo da un partito, segna la quarta metamorfosi del Movimento nato il 4 ottobre 2009, giorno di San Francesco. La prima pelle fu l'ambientalismo, la seconda nel 2013, con il boom elettorale, fu il vaffa grillino, il tutti a casa, il taglio della casta politica, la terza nel 2018 il sindacato degli esclusi, le periferie, il meridione, con il reddito di cittadinanza che portò M5S al massimo elettorale, il 32 per cento, e la conquista di tutti i collegi del Sud. La quarta è arrivata ieri.

Un anno fa Conte era in crisi di identità, sorpreso dalla leadership dinamica di Elly Schlein, alla guida di un Pd uscito dalla paralisi, determinato a riprendersi i pezzi di società abbandonati per anni. Ora ha recuperato una parola d'ordine. Il no al riarmo non è solo un no al piano von der Leyen, è un no al sistema finanziario, mediatico, politico, un altro “noi contro di loro” che consente a M5S di ritrovare un popolo, un pezzo di società civile, un network di cattolici, radicali, pacifisti, una pattuglia di intellettuali organici che diffondono il verbo e scomunicano gli infedeli (l'intellettuale vanitoso collettivo è il vero punto di incontro tra la piazza dei 5 Stelle e quella sull'Europa di Michele Serra), perfino un movimento giovanile: tutto quello che serve per fare un partito.

Ricongiungere popoli e generazioni: da qui riparta un’opposizione unita

Oltre al leader, naturalmente, quel Conte benedetto da Jeffrey Sachs («Conte è la voce della pace, ascoltato in tutto il mondo. Oggi state facendo la storia», qualcuno avrebbe dovuto avvisare il professore americano che da queste parti questa l'hanno già sentita), che ha alternato toni profetici alla papa Wojtyla («la guerra avventura senza ritorno»), la naturale modestia («quando stavo al governo sentivo la spinta dell'intera comunità nazionale, puoi vincere, perché hai una visione, un certo coraggio») e l'abilità del professionista del poker pronto a giocarsi la nuova mano. Nel cambio di pelle del Movimento, c'è l'esplicita candidatura dell'ex premier a guidare l'opposizione: «Oggi si rompe la luna di miele con il governo Meloni, costruiamo il primo pilastro dell'alternativa». L'obiettivo di sempre è tornare a Palazzo Chigi, un'ambizione rilanciata. Ma per costruire, e non distruggere, Conte deve ammettere che il pilastro non è unico, l'alternativa si fa con gli alleati. A partire dal Pd e dalla leader Elly Schlein, che testardamente (e pazientemente) aspetta questo momento.

Per la prima volta da tempo, dal palco del Movimento 5 Stelle, gli attacchi sono stati tutti contro la premier Giorgia Meloni («Meloni taglia, taglia, taglia!», gridava Chiara Appendino), quelli contro il Pd sono stati limitati al minimo necessario, nessuno contro Schlein, assente di persona ma presente con il partito. Mentre, nelle stesse ore, al congresso della Lega, interveniva Elon Musk, Salvini attaccava l'Europa e difendeva i dazi Usa (l'opposto di quanto dichiarato da Tajani qualche minuto prima), i capigruppo Molinari e Romeo hanno chiesto il ritorno del Capitano al Viminale, «solo Salvini e Maroni hanno sconfitto l'immigrazione clandestina», e ciaone all'attuale ministro dell'Interno Matteo Piantedosi, che pure era stato indicato dal suo predecessore. E dunque, se la politica ha un senso, bisogna annotare che si sono allargate le crepe nella maggioranza di governo e ci sono stati segnali di avvicinamento nel campo delle opposizioni.

Dopo il successo della piazza, vinta la prova di forza, superata l'urgenza del primum vivere, la stessa del Psi di Craxi di mezzo secolo fa, per Conte arriverà il momento della trattativa con i compagni di strada, a cominciare da Schlein. Ha dalla sua parte un formidabile alleato: l'establishment assediato ed esausto, senza radici nella società, che ha più fogli che elettori, lo stesso che vorrebbe cancellarlo. Non si sconfigge, e neppure si argina, l'onda d'urto di Trump, Musk, Vance, e dei suoi seguaci in Europa e in Italia, con i pallidi spaventati banchieri riuniti a Cernobbio. Si vince riportando in uno schieramento politico questo insieme di popoli, di cui la manifestazione di ieri fa parte, a volte confuso, contraddittorio, ma spesso più avanti dei dirigenti, delle loro ambizioni personali e dei loro narcisismi. La corsa è aperta.

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