In queste ore si discute di se e come lo Stato debba salvare la vita ad Alfredo Cospito, impegnato in uno sciopero della fame contro il carcere duro del 41 bis che gli impedisce, tra le altre cose, di comunicare con l’esterno e di scrivere sulle testate della galassia anarchica per la quale rappresenta se non un leader, almeno un simbolo. Come dimostra l’ondata di violenza di questi giorni, in Italia e non solo. 

Come ho già argomentato, lo Stato può e deve trovare un modo per evitare che Cospito possa portare fino all’estremo la sua protesta, pianificata e organizzata da mesi per contestare oltre a un assetto normativo che non condivide anche le forme dell’applicazione della pena per i reati che non nega di aver commesso. 

Lo Stato ha l’occasione di dimostrarsi migliore di Cospito, che della vita umana ha mostrato spregio e che ha glorificato una violenza che è, quella sì, inaccettabile e incompatibile con la nostra Repubblica fondata sulla Costituzione. 

In questi giorni si cerca di far passare Cospito per un attivista non violento, un pensatore, quasi un Gandhi dell’anarchia. 

Non è così. E vale la pena rileggere la dichiarazione che ha cercato di leggere il 30 ottobre 2013 alla prima udienza del processo per l’attentato all’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi, da lui commesso nel maggio 2012. 

Dobbiamo salvarlo, perché è un essere umano, ma non perché è una brava persona. 

Ecco cosa diceva Cospito, come si può leggere da siti anarchici che riportano il documento: «Quel sette maggio del 2012 per un momento ho gettato sabbia nell’ingranaggio di questa megamacchina, per un momento ho vissuto a pieno facendo la differenza. Quel giorno non era una vecchia Tokaref la mia arma migliore, ma l’odio profondo, feroce che provo contro la società tecno-industriale». 

Nel suo delirio, Cospito accusa di terrorismo gli altri, mentre lui è un combattente per la libertà: «Adinolfi lo abbiamo visto sorridere sornione dagli schermi televisivi atteggiandosi a vittima. Lo abbiamo visto dare lezioni nelle scuole contro il “terrorismo”. Ma io mi chiedo cos’è il terrorismo? Un colpo sparato, un dolore intenso, una ferita aperta o la minaccia incessante continua, di una morte lenta che ti divora da dentro. Il terrore continuo, incessante, che una delle sue centrali nucleari ci vomiti addosso da un momento all’altro morte e desolazione».

Così celebra la sua scelta di violenza, che ricorda le Brigate Rosse degli anni Settanta: «A me venne in mente di colpire il maggiore responsabile di questo scempio in Italia: Roberto Adinolfi amministratore delegato di Ansaldo Nucleare. Ci volle poco a scoprire dove abitava, cinque appostamenti bastavano. Non c’è bisogno di una struttura militare, di un’associazione sovversiva o di una banda armata per colpire, chiunque, armato di una salda volontà può pensare l’impensabile e agire di conseguenza».

Segue la celebrazione estatica dell’attentato, senza la più vaga traccia di pentimento: «Partimmo in auto da Torino la notte prima. Tutto filò liscio o quasi, Nicola alla guida, io colpii esattamente dove avevamo deciso di colpire. Un colpo preciso, la mia corsa verso la moto e poi l’imprevisto, l’urlo pieno di rabbia di Adinolfi, la frase urlata che mi immobilizzò facendomi perdere preziosi secondi: “bastardi! …so chi vi manda!!!” in quel preciso momento ebbi la certezza assoluta di aver colpito nel segno, pienamente cosciente del letamaio in cui avevo messo le mani; interessi milionari, finanzia internazionale, la politica e il potere, fango e letame».

Infine, la rivendicazione di essere dalla parte del giusto: «Non basterà certo la condanna di questo tribunale a fare di noi i cattivi terroristi e di Adinolfi e Finmeccanica i benefattori dell’umanità».

Questo è Alfredo Cospito, merita la nostra pietà umana, non il cedimento dello Stato e neppure la vittoria ai danni di quelle istituzioni che ha contestato a colpi di pistola.

Dobbiamo salvargli la vita per sconfiggerlo definitivamente, non per legittimarlo. 

Cospito non è Giuseppe Pinelli, vittima innocente di uno Stato oppressore, volato dalla questura di Milano, capro espiatorio di un depistaggio dopo la strage di piazza Fontana del 1969. A Pinelli, probabilmente, Cospito gli avrebbe fatto schifo. 

Il documento

Foto Cecilia Fabiano/LaPresse 30-01-2023 Roma, Italia - Cronaca - Caso Alfredo Cospito, incendio di cinque auto in una sede Tim a Roma rivendicata da anarchici con una scritta contro il regime detentivo 41 BIS - Nella Foto: il parcheggio in via val di Lanza January 30, 2023 Rome Italy - news - Alfredo Cospito case, fire of five cars in a Tim headquarters in Rome claimed by anarchists with an inscription against the 41 BIS prison regime -in the Photo: the parking in rome

Qui trovate il documento integrale: 

DICHIARAZIONE DI ALFREDO COSPITO AL PROCESSO PER IL FERIMENTO DELL’A.D. DI ANSALDO NUCLEARE

Riceviamo e diffondiamo la dichiarazione del compagno anarchico Alfredo Cospito alla prima udienza (30 ottobre 2013) del processo per il
ferimento dell’A.D. di Ansaldo Nucleare.

In una splendida mattina di maggio ho agito ed in quelle poche ore ho goduto a pieno della vita. Per una volta mi sono lasciato alle spalle paura e autogiustificazioni e ho sfidato l’ignoto. In una Europa costellata di centrali nucleari, uno dei maggiori responsabili del disastro nucleare che verrà è caduto ai miei piedi. Voglio essere molto chiaro: il nucleo Olga FAI/FRI siamo solo io e Nicola.

Nessun altro ha partecipato, collaborato, progettato tale azione; nessuno era a conoscenza del nostro progetto. Non permetterò che il mio agire, per distogliere l’attenzione dal vero obiettivo dell’azione venga messo in un osceno assurdo calderone massmediatico e giuridico fatto di “eversione dell’ordine democratico”, “associazione sovversiva”, “banda armata”, “terrorismo”; frasi vuote in bocca a giudici e giornalisti.
Sono anarchico antiorganizzatore perchè contrario ad ogni forma di autorità e costrizione organizzativa. Sono nichilista perchè vivo la mia anarchia oggi e non nell’attesa di una rivoluzione che, se pure verrà, creerà solo nuova autorità, nuova tecnologia, nuova civiltà. Vivo la mia anarchia con naturalezza, gioia, piacere, senza alcuno spirito di martirio, opponendo tutto me stesso a questo esistente civilizzato che mi è insopportabile.

Sono antisociale perchè convinto che la società esiste solo sotto il segno della divisione tra dominanti e dominati. Non aspiro ad alcuna futura “paradisiaca” alchimia socialista, non ripongo fiducia in nessuna classe sociale; la mia rivolta senza rivoluzione è individuale, esistenziale, totalizzante, assoluta, armata. In me non vi è alcuna traccia di superomismo, nessun disprezzo nei confronti degli oppressi, del “popolo”, convinto che, come dice un detto orientale: “non bisogna disprezzare il serpente perchè non ha le corna; un giorno potrebbe trasformarsi in drago!”

Allo stesso modo uno schiavo può trasformarsi in un ribelle, un solo uomo, una sola donna farsi incendio devastante. Con tutte le mie forze disprezzo i potenti della terra, siano essi politici, scienziati, tecnocrati, capipopolo, leader di ogni risma, burocrati, capi militari e religiosi.

L’ordine che voglio abbattere è quello della civilizzazione che giorno dopo giorno distrugge tutto ciò per il quale vale la pena vivere. Stato, democrazia, classi sociali, ideologie, religioni, polizia, eserciti, il vostro stesso tribunale sono ombre, chimere, ingranaggi, tutti sostituibili, di una megamacchina che tutto comprende. La tecnologia un giorno farà a meno di noi trasformandoci tutti in automi sperduti in un panorama di morte e desolazione.

Quel sette maggio del 2012 per un momento ho gettato sabbia nell’ingranaggio di questa megamacchina, per un momento ho vissuto a pieno facendo la differenza. Quel giorno non era una vecchia Tokaref la mia arma migliore, ma l’odio profondo, feroce che provo contro la società tecno-industriale. Ho firmato l’azione come FAI/FRI perchè mi sono innamorato di questa lucida “follia” fattasi concreta poesia, a volte brezza, a volte tempesta, che soffia caotica per mezzo mondo, imperterrita, improbabile, contro ogni legge, contro ogni “buon senso”, contro ogni ideologia, contro ogni politica, contro scienza e civilizzazione, contro ogni autorità, organizzazione e gerarchia.

Una visione dell’anarchia concreta che non prevede teorici, dirigenti, leader, quadri, soldati, eroi, martiri, organigrammi, militanti e tanto meno spettatori.

Per anni ho assistito all’evoluzione di questa nuova anarchia rimanendo di fatto solo spettatore. Per troppo tempo sono rimasto a guardare. L’anarchia se non si fà azione rigetta la vita diventando ideologia, merda o poco più, nel migliore dei casi sfogo impotente per uomini e donne frustrati.
Decisi di passare all’azione dopo il disastro nucleare di Fukushima. Davanti a fatti così grossi troppo spesso ci si sente inadeguati.

L’uomo primitivo fronteggiava i pericoli, sapeva come difendersi. L’uomo moderno, civilizzato davanti alle costruzioni-costrizioni della tecnologia è inerme. Come pecore che cercano protezione nel pastore che le macellerà, così noi civilizzati ci affidiamo ai sacerdoti laici della scienza, gli stessi che ci stanno lentamente scavando la fossa. Adinolfi lo abbiamo visto sorridere sornione dagli schermi televisivi atteggiandosi a vittima. Lo abbiamo visto dare lezioni nelle scuole contro il “terrorismo”.

Ma io mi chiedo cos’è il terrorismo? Un colpo sparato, un dolore intenso, una ferita aperta o la minaccia incessante continua, di una morte lenta che ti divora da dentro. Il terrore continuo, incessante, che una delle sue centrali nucleari ci vomiti addosso da un momento all’altro morte e desolazione.

L’Ansaldo Nucleare e Finmeccanica hanno enormi responsabilità. I loro progetti continuano a seminare morte dappertutto, ultimamente si parla di possibili investimenti nel raddoppio della centrale di Kryko in Slovenia a due passi dall’Italia, zona a grande rischio sismico. In Cernadova, Romania, dal 2000 ad oggi, diversi sono stati gli incidenti procurati della dabbenaggine dell’Ansaldo durante la costruzione di una loro centrale. Quante vite spezzate? Quanto sangue versato?

Tecnocrati di Ansaldo e di Finmeccanica dal sorriso facile, dalla coscienza “pulita”, il vostro “progresso” puzza di carogna, la morte che seminate per il mondo grida vendetta. Sono tanti i modi di opporsi concretamente al nucleare, blocchi dei treni che trasportano scorie, sabotaggi ai tralicci che trasportano energia elettrica prodotta dall’atomo.

A me venne in mente di colpire il maggiore responsabile di questo scempio in Italia: Roberto Adinolfi amministratore delegato di Ansaldo Nucleare. Ci volle poco a scoprire dove abitava, cinque appostamenti bastavano. Non c’è bisogno di una struttura militare, di un’associazione sovversiva o di una banda armata per colpire, chiunque, armato di una salda volontà può pensare l’impensabile e agire di conseguenza.

Avrei fatto tutto da solo, sfortunatamente avevo bisogno di aiuto per la moto; chiesi a Nicola, feci appello alla sua amicizia, non si tirò indietro. La pistola la comprai al mercato nero, trecento euro. Non servono infrastrutture clandestine o grandi capitali per armarsi.

Partimmo in auto da Torino la notte prima. Tutto filò liscio o quasi, Nicola alla guida, io colpii esattamente dove avevamo deciso di colpire. Un colpo preciso, la mia corsa verso la moto e poi l’imprevisto, l’urlo pieno di rabbia di Adinolfi, la frase urlata che mi immobilizzò facendomi perdere prezziosi secondi: “bastardi! …so chi vi manda!!!” in quel preciso momento ebbi la certezza assoluta di aver colpito nel segno, pienamente cosciente del letamaio in cui avevo messo le mani; interessi milionari, finanzia internazionale, la politica e il potere, fango e letame.

Quei secondi “rubati” permisero ad Adinolfi di leggere una parte della targa, che per inesperienza non avevamo coperto. Grazie a quei numeri risalirono alla moto e dalla moto alla telecamera.
Non basterà certo la condanna di questo tribunale a fare di noi i cattivi terroristi e di Adinolfi e Finmeccanica i benefattori dell’umanità.

È arrivato il momento del grande rifiuto, rifiuto fatto di pluralità di resistenze, ognuna delle quali è un caso speciale; alcune sono possibili, necessarie, improbabili; altre sono spontanee, selvagge, solitarie, concertate, prorompenti o violente. La nostra è stata solitaria e violenta.

Ne è valsa la pena? Si! Fosse solo per la gioia che abbiamo provato nella’apprendere del sorriso di sfida che Olga Ikonomidou, coraggiosa sorella della Cospirazione delle Cellule di Fuoco, in una cella di isolamento di un carcere greco, alla notizia della nostra azione ha gettato in faccia ai suoi carcerieri. Sono felice di essere quel che sono, un uomo libero, anche se “momentaneamente” in catene.

Non posso lamentarmi più di tanto visto che la stragrande maggioranza della “gente” le catene le ha ben piantate nel cervello. Nella mia vita ho sempre cercato di fare quello che reputavo giusto e mai quello che conveniva. Le mezze misure non mi hanno mai convinto.

Ho amato molto. Ho odiato molto. Proprio per questo non mi arrenderò alle vostre sbarre, divise, armi. Mi avrete sempre come irriducibile, fiero nemico. Non sono solo. Glia anrachici non sono mai soli, solitari a volte, ma mai soli. Mille progetti nella testa, una speranza nel cuore che continua a vivere sempre più, salda e sempre più condivisa; concreta prospettiva che “rischia” di cambiare la faccia dell’anarchia nel mondo. Piccoli, grandi smottamenti che un giorno scateneranno un cataclisma, ci vorrà tempo, non importa, per adesso mi godo il terremoto scatenato in me da tutta questa voglia di gioire e lottare.
Concludo con una citazione di Martino (Marco Camenish) guerriero mai piegato, per il suo profondo amore per la vita da più di vent’anni prigioniero, rinchiuso oggi in un asettico carcere svizzero, faccio mie queste sue parole:

«… il coraggio di pensare le cose fino in fondo, trasgredire il divieto di polizia tecnologica del “impossibile” o dell’“inconcepibile”, di pensare altro e in altro modo agendo di conseguenza. Solo questo può condurci fuori dalla tiepida brodaglia tossica della modernità nei luoghi dove niente e nessuno ci guiderà nel luogo senza sicurezze, nel luogo della responsabilità in prima persona per la non-sottomissione con tutte le sue conseguenze. La libertà è dura e pericolosa e non c’è vita senza la morte. Per timore della vita spesso ci rassegnamo in schiavitù all’annientamento.»

Morte alla civilizzazione
Morte alla società tecnologica
Lunga vita alle CCF
Lunga vita alla FAI/FRI
Viva l’internazionale nera!
Viva l’anarchia!!

Alfredo Cospito

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