A Giorgia Meloni piacciono le posture decisioniste e di attacco ma quando Calderoli e la Lega alzano la voce sull’autonomia regionale differenziata corre ai ripari, altrimenti il governo rischierebbe la crisi e il suo obiettivo identitario principe – l’elezione diretta del presidente del Consiglio – potrebbe svanire. Elezione diretta del capo del governo in cambio dell’autonomia regionale differenziata è il patto su cui si regge il governo.
L’autonomia regionale differenziata, nella versione che Calderoli ha imposto, è un regionalismo competitivo ed egoista che lascia intravvedere la secessione delle regioni ricche, il contrario del regionalismo cooperativo e solidale previsto dalla Costituzione del 1948, che unisce interesse nazionale e parità di diritti.
Questa autonomia è incoerente con la proposta di FdI di fare eleggere direttamente il presidente del Consiglio, con l’obiettivo di concentrare su una sola persona i poteri decisionali, per di più tagliando quelli del presidente della Repubblica e del parlamento.
La Lega sta forzando alla Camera per arrivare all’approvazione definitiva della proposta Calderoli prima delle elezioni europee, in modo da consentire a Zaia di chiedere subito le 8 materie e le 184 funzioni extra Lep che lo Stato dovrebbe cedere al Veneto, insieme al personale e alle risorse statali.
Come è possibile che il Veneto (poi Lombardia ed Emilia) abbia più poteri, più soldi e le altre regioni non perdano risorse, visto che la proposta Calderoli non prevede un solo euro di intervento a favore delle regioni più deboli? La moltiplicazione dei pani e dei pesci al confronto era un miracolo meno impegnativo.
Fratelli d’Italia avrebbe preferito ottenere prima l’approvazione dell’elezione diretta del presidente del Consiglio per frenare lo svuotamento dei poteri dello Stato, ma ha sbagliato tutto e Calderoli potrebbe arrivare per primo al traguardo. A poco serviranno i poteri decisionali conquistati dalle formichine di FdI per il presidente del Consiglio sulle materie da devolvere, il governo sarà sempre sotto ricatto.
L’elezione diretta del presidente del Consiglio non fermerà la corrosione dell’unità nazionale, con il rischio che l’Italia torni a dividersi in staterelli, come prima dell’unità nazionale. È un timore presente anche in settori di FdI che non condividono scelte che mettono a rischio l’unità nazionale. Anche una parte della Lega non condivide la proposta di Calderoli.
A Giorgia Meloni l’elezione diretta del presidente del Consiglio serve per essere pienamente legittimata, per andare oltre la Costituzione del 1948, democratica ed antifascista, riducendo drasticamente ruolo e poteri del presidente della Repubblica e riducendo il parlamento a guardia pretoria del capo del governo: o ne approva le decisioni o va a casa.
La legge elettorale indicata nella modifica della Costituzione garantirà al presidente del Consiglio una maggioranza di parlamentari, strettamente dipendenti dalla sua elezione, difficile che possa esserci un successore senza nuove elezioni.
Avere la maggioranza dei parlamentari senza ottenere la maggioranza dei voti farà impallidire la legge truffa del 1953, che almeno scattava con la maggioranza dei voti.
La destra vuole modificare la Carta del 1948 per fondare una nuova Repubblica e vuole un’altra Costituzione. Il progetto è contraddittorio, pericoloso, ma ha un obiettivo chiaro: chiudere l’epoca della Costituzione democratica ed antifascista del 1948 fondata sulla divisione dei poteri.
Le attuali opposizioni debbono opporsi con la determinazione di chi vuole non solo difendere ma attuare Costituzione, anche correggendo qualche nuovismo di troppo del passato, presentando una forte posizione alternativa a quella della destra. Non serve rendere meno peggio la proposta del governo perché il tentativo in atto è il rovesciamento della nostra Costituzione. Settori importanti della società si stanno già muovendo. Occorre puntare a fermare la destra in parlamento e garantire che ci sarà il referendum costituzionale per fare decidere gli elettori.
Giorgia Meloni, che propone di eleggere direttamente il presidente del Consiglio per sottrarre potere ai partiti, è in realtà il capo del partito italiano con più parlamentari e per di più è presidente del Consiglio. Una finta per ottenere più potere personale.
L’obiettivo vero è accentrare il potere in una sola persona, realizzando una autentica capocrazia, che pian piano cambierà il resto delle istituzioni.
L’alternativa alla capocrazia è pretendere la possibilità per elettrici ed elettori di eleggere direttamente tutti i 600 parlamentari, dicendo basta ai nominati dall’alto, moderni vassalli, per ridare al parlamento la centralità che la Costituzione gli attribuisce e contrastare l’astensionismo.
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