Se la schedina fosse ancora popolare, se per assurdo ne esistesse una dove azzeccare i titoli dei giornali, ieri mattina sarebbe stato facile scoprire d'aver fatto tredici, immaginando chi avrebbe scritto cosa, a proposito del racconto di Alain Elkann apparso su Repubblica lunedì. L’originalità e il divertimento era tutto sui social.
Se la schedina fosse ancora popolare, se per assurdo ne esistesse una dove azzeccare i titoli dei giornali, ieri mattina sarebbe stato facile scoprire d'aver fatto tredici, immaginando chi avrebbe scritto cosa, a proposito del racconto di Alain Elkann apparso su Repubblica lunedì.
Era abbastanza scontato – uno ics due – prevedere chi avrebbe attaccato e chi avrebbe invece puntato a fare zero a zero. I giornali hanno questo antico vizio di uscire in edicola il giorno dopo i fatti, quando tempeste del genere si sono ormai già tutte consumate in sala d’attesa, una volta accadeva al bar, al circolo del biliardo, alla sezione del partito, adesso che piaccia o no succede sui social, un posto uguale agli altri di prima, dove passa la vita.
Così gli scrollatori di schermi in tempo reale, coi polpastrelli avevano già riempito la scena di editoriali, esaminando il completo di lino del narratore, l’aggettivo stazzonato, la cartella di cuoio e la penna stilografica, il Financial Times e la Recherche di Proust, tutta quella serie di dettagli espliciti e ostentati, universalmente conosciuti, da far sembrare il racconto quasi una parodia, una finzione, diamine, non può essere vero, uno scrittore vero lo sa che accennare vale più di esporre.
Mentre i giornali preparavano la carta da mandare in stampa, sul vagone ferroviario dei social c’era già chi aveva trovato sbagliata la citazione del volume di Proust, chi aveva consumato citazioni altissime su prospettiva del conflitto e lotta di classe, qualcuno aveva considerato che in fondo esiste più distanza tra Roma e Foggia di quanta ce ne sia tra le scarpe marchiate Nike e una stilografica Montblanc. A patto di esser consapevoli di cosa succede davvero tra le persone.
Quando sono arrivati i giornali in edicola, i mezzadri delle bacheche erano altrove, il dibattito vero era finito, non rimaneva che misurare la distanza delle redazioni dal mondo reale. Un vecchio maestro diceva che dovrebbero stare a pian terreno e con le finestre aperte. In compenso è cominciato il gioco di ruolo.
La schedina. Uno, ics, due. Ognuno calato dentro la propria parte, esatta, giusta, una specie di recita collettiva, nella quale ciascuno dice quel che crede stia aspettando di sentire il proprio pubblico di riferimento. Così, da destra (fuori casa, in schedina due), il Giornale ha trovato che Elkann «incarna perfettamente l’esprit di quel mondo che inizia sulle pagine dei giornali del gruppo Gedi, passa per i comizi di Elly Schlein e finisce al matrimonio creepy di Murgia&the Coconuts».
Libero non se l’è sentita di sorprendere e ha colto l’occasione per far cadere le colpe dei racconti dei padri sui figli, trovando che fosse obbligatorio un passaggio su «alcuni beccati in calze a rete, con abbondante cotè di polvere, non di stelle», mentre La Verità ha messo in fila qualche spiritosaggine in difesa dei giovani che bevono «Coca cola e tè freddo, anziché champagne Cristal o whiskey invecchiato 30 anni»: i famosi lanzichenecchi secondo Elkann, che ieri mattina erano da difendere, poverini, ma in genere visti da destra sono dei poveracci, anzi, quando si presentano in gruppi composti da più di cinquanta, rappresentano «un pericolo per l’ordine pubblico, l’incolumità pubblica o la salute pubblica», come diceva il testo del decreto legge del governo amico «in materia di occupazioni abusive e organizzazione di raduni illegali». Dai, per fortuna su un vagone in cinquanta non ci stanno, e gli editoriali possono cambiare verso.
Anche Il Foglio ha giocato la sua partita, scegliendo il proprio angolo «sperticatamente, eccentricamente, berlusconiano» per prendersela con la redazione di Repubblica, il cdr, l’organo sindacale colpevole di aver preso le distanze con una nota, mentre invece – pare di capire – anche loro un tempo «preferivano leggere Kant, invece che andare a cercare ragazze in spiaggia o in feste eleganti».
A questo punto sarà chiaro che del racconto di Elkann padre non importava davvero niente a nessuno, era solo un pretesto un po’ annoiato per suonare ciascuno lo spartito.
Chi davvero s’è divertito è stato Giorgio Cappozzo, che su Twitter ha contro-raccontato lo stesso viaggio di Elkann visto da uno dei lanzichenecchi. Repubblica invece ha suonato il silenzio (sulla schedina c’era ics: lo zero a zero).
Neppure la nota del cdr ha trovato spazio sul giornale, anzi, dentro la redazione pare che i caporali si siano dispiaciuti della sollevazione degli uomini e delle donne, contro un racconto che i corridoi dicono concordato direttamente tra lo scrittore, padre dell’editore, e il direttore. C'è stato un tempo in cui l'Unità stroncava in Cultura il romanzo di un suo collaboratore sotto i trent'anni, il libro era Il Visconte dimezzato e lui Italo Calvino.
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