L’economia degli Stati Uniti e dell’Unione europea, di cui l’Italia fa parte, a causa della guerra russo-ucraina e della crisi energetica ha subito un rallentamento, quindi una stagnazione senza arrivare a una recessione perché, anche a causa della pandemia, famiglie e imprese negli ultimi anni hanno accumulato risparmi che hanno sostenuto i consumi, mentre la politica fiscale è stata ovunque espansiva.  

Negli Stati Uniti l’Inflation Reduction Act ha stanziato 738 miliardi di dollari per combattere l’inflazione, di cui 391 miliardi destinati alla transizione ecologica, investimento che si aggiunge ai 1900 miliardi di dollari stanziati per far ripartire l’economia. Una situazione che non si era mai verificata in passato quando, infatti, a una stretta monetaria decisa per frenare l’inflazione seguiva inevitabilmente una recessione.

Negli Stati Uniti e nell’Eurozona l’inflazione è prevista in calo durante tutto il 2023 per assestarsi al 2,5 per cento all’inizio del 2024. I tassi di interesse saranno in diminuzione dalla fine del 2023 fino al 2025, ma non ritorneranno ai livelli pre-pandemia. Ci sono ancora tensioni finanziarie nei mercati ma non si prevedono altri bank crunch come quelli di SVB, Credit Suisse e Deutsche Bank. Il Pil è in rialzo negli Stati Uniti e nell’area euro, in misura minore in Cina. Queste sono le analisi e le previsioni dei principali centri di ricerca come Ocse, Eurostat, US Census Bureau, Banca Mondiale, Bankitalia e Prometeia come appare dal suo ultimo rapporto del 31 marzo.

L’economia italiana

In questo contesto come si pone l’economia italiana? La nostra economia, con un forte rimbalzo post Covid, nel 2022 ha marciato a un ritmo doppio di quello di Francia e Germania. Il ciclo economico sta ancora migliorando e nel primo trimestre 2023 si prevede una crescita dello 0,1 per cento. Anche la disoccupazione è tornata a livelli pre-crisi ma è diminuita, secondo l’Istat, la popolazione in età da lavoro (14-64 anni), tema, questo,  che richiede una visione della migrazione diversa da quella del governo in carica.

L’inflazione sta rallentando per la componente energetica ma è in crescita per la componente prodotti alimentari che hanno molta importanza nel paniere di spesa. Ci sono rallentamenti nei prezzi alla produzione ma non nei prezzi al consumo. Nel 2022 i margini delle imprese italiane sono cresciuti in modo consistente, soprattutto nel settore della produzione e fornitura di energia elettrica che, tuttavia, ha trasferito a valle aumenti di prezzo superiori ai costi sostenuti, a scapito soprattutto dell’industria manufatturiera.

Nel frattempo il costo del denaro aumenta il costo del debito pubblico, dovendo lo stato emettere titoli con interessi più elevati. Il  Def deve tenere conto di questo e rivedere le stime per le politiche espansive del governo.

Le previsioni postive per inflazione, Pil e disoccupazione sono comunque soggette a molti rischi. Ad esempio i salari non stanno recuperando la perdita di potere di acquisto reale dovuto all’inflazione e il rinnovo dei contratti in scadenza potrebbe aumentare l’inflazione. Poi c’è l’incognita della politica fiscale che vorrà attuare il governo, politica che dai progetti allo studio appare assai confusa. Infine c’è il grave rischio di non riuscire ad attuare il Pnrr.

I problemi dell’economia italiana

Usciremo da questa crisi ma il livello di benessere continuerà ad essere assai inferiore a quello di Francia e Germania. Forse torneremo ai livelli di quei paesi nel 2027 se riusciremo ad attuare il Pnrr, non in parte ma integralmente.

È chiaro che proprio l’attuazione del Pnrr può permetterci di mantenere un ragionevole tasso di crescita, di ottenerte una diminuzione della disoccupazione e un aumento del benessere sociale. Ma le diatribe di questi giorni tra i membri del governo suggeriscono un certo pessimismo. Le riforme sono parte essenziale del Pnrr, ma queste non saranno realizzate se ancora non si riesce a varare, ad esempio, la riforma della concorrenza sostenendo i privilegi di balneari e tassisti per un ottuso scopo elettorale, visto che molto probabilmente le prossime elezioni politiche saranno nel 2027.

C’è poi una eredità strutturale che pesa sulla crescita della nostra fragile economia. Neppure dopo la crisi del 2007 si è capito che occorreva favorire il consolidamento delle piccole imprese perché solo con una certa massa critica si può competere e realizzare profitti in un mercato globalizzato. Le nostre imprese, inoltre, rispetto alle altre imprese europee, hanno difetti storici come, appunto, la dimensione, la bassa produttività, i modesti investimenti in ricerca e sviluppo, l’insufficiente capitalizzazione, la mancanza di pratiche manageriali, l’assenza di manager con alta formazione e la scarsa propensione degli imprenditori a ricorrere al capitale di rischio.

Le decisioni assunte dal governo nei suoi primi sei mesi di vita ci lasciano poche speranze per il futuro della nostra economia.

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