Per fuoriuscire dal patriarcato bisogna schiacciare tutta la genitorialità sulla maternità gestazionale? O forse la riflessione su forme di paternità non patriarcale, su come armonizzare i diritti delle gestanti e quelli genitoriali serve anche a quelle femministe che teorizzano l’importanza della differenza tra i sessi?
Ora che la Gpa è stata dichiarata reato universale, c’è un imperativo per le femministe che avversano questa pratica: differenziarsi dalle donne di destra che pure sono contrarie e usano la loro contrarietà per difendere un modello patriarcale di famiglia e di donna.
Negli stessi giorni in cui la legge sul reato universale è stata firmata dal presidente Sergio Mattarella, un gruppo di donne di destra ha rivendicato la «maternità come potere della donna» (lo ha detto Annalisa Terranova) e il ministro Giuseppe Valditara ha detto in faccia a Gino Cecchettin che i femminicidi sono commessi soprattutto da immigrati e la lotta al patriarcato è solo «visione ideologica».
In un libro coraggiosissimo che tenta proprio questa operazione Adriana Cavarero e Olivia Guaraldo spiegano benissimo perché per loro e altre la differenza sessuale, cioè il fatto di avere sessi diversi e la capacità delle donne di procreare, faccia una enorme differenza, senza che ciò però significhi che le donne siano essenzialmente madri, destinate alla cura e alla vita casalinga, confinate nella naturalità, distinte dal regno della cultura e della verità, appannaggio esclusivo degli uomini (Donna si nasce (e qualche volta lo si diventa), Mondadori, 2024).
Parlando della Gpa, le autrici mettono in luce tutti i problemi di questa pratica (lo sfruttamento, la medicalizzazione del corpo femminile, la separazione fra madre gestazionale e nascituro), cercando di evitare che possano condurre a esiti tradizionalisti e a diminuire la libertà delle donne.
Una visione da elaborare
E tuttavia il percorso rimane incompiuto, almeno a mio parere. Vero è, e tocca sempre ribadirlo, che la differenza sessuale è un fatto prevalente – anche se ci sono ovviamente casi e vite meno nette, che bisognerebbe rispettare (il libro tenta di smontare la contrapposizione fra universo lgbt e femminismo della differenza, illuminando le distinzioni teoriche non negoziabili e la possibile strada comune).
Vero è pure che il patriarcato ha occultato, mistificato, addomesticato il fatto della differenza sessuale, facendone un pretesto per asservire le donne. Vero e ovvio è, infine, che la gestazione è un’esperienza indicibile per chi, come chi scrive, non può averla, un’esperienza che segna l’orizzonte di vita delle donne, e ha valore in sé.
Ma questi punti di partenza non esauriscono tutto. La madre gestazionale ha diritti che forse la Gpa viola.
Ma di questi diritti fa parte sempre e comunque quello di curare il figlio? La madre gestazionale è sempre il miglior genitore dal punto di vista dell’interesse del nascituro? Per come viene condotta prevalentemente, la Gpa separa la gestazione dalla cura genitoriale.
Non sarebbe necessario: famiglie non monogamiche e non nucleari potrebbero essere formate da madri gestazionali e madri o padri intenzionali. Ma questa è forse un’utopia.
I diritti da bilanciare
Ma ovviamente la separazione fra madre gestazionale e nascituro, così come le varie limitazioni della libertà della madre, o il possibile sfruttamento, sono difficili da accettare (per quanto la penalizzazione non risolverà, ma creerà solo mercati clandestini).
Tuttavia, si può dire che la cura di chi non può partorire sia sempre imperfetta? E che chi ha una gestazione abbia automaticamente il diritto di essere genitore, di essere madre?
È facile, forse, vedere in una coppia di uomini che pagano una donna sottraendole il frutto del suo grembo un atto patriarcale, giacché tutto questo sembra così simile a ristabilire il presunto diritto esclusivo dei padri alla proprietà dei figli, che nei secoli ha nascosto il fatto che tutti veniamo da corpi di donna e che solo le donne possono partorire. È ovvio che la madre gestazionale ha il diritto alla relazione con il figlio, se vuole. Ma ha automaticamente il diritto alla cura, o garantisce sempre la cura migliore?
Per fuoriuscire dal patriarcato bisogna schiacciare tutta la genitorialità sulla maternità gestazionale? Chi è lì dopo il parto, nelle famiglie tradizionali, nelle famiglie adottive, o nei casi migliori di Gpa (quelli rarissimi dove non ci sia né denaro né costrizione), e si prende cura del nato non fa niente di paragonabile a quello che fa la madre gestazionale, dunque?
Forse non si può chiedere alle femministe, che giustamente parlano dal punto di vista delle donne, di occuparsi di tutto il resto, di chi può dare cure nell’interesse dei figli pur senza poterli portare in grembo. Ma in questa discussione ne va anche delle nuove forme di paternità non patriarcale che potrebbero essere alleate del femminismo. Non nasconderle e valorizzarle potrebbe essere ciò che separa il femminismo dal tradizionalismo neocattolico.
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