Si dovrebbe lasciare alle regioni la protezione di diritti costituzionalmente garantiti e di principi generali del diritto internazionale? Non si capisce bene perché, mentre si capisce bene che sarebbe rischioso, dal momento che potrebbe produrre livelli differenti di tutela dei diritti, cioè diseguaglianza
Immaginiamo un albero secolare, il cui tronco enorme sorga al confine di due regioni italiane. Oppure, una specie di uccelli protetta, che migra da una regione all’altra, o nidifica a cavallo del confine di due regioni del nostro paese. Assumiamo che sia l’albero sia gli uccelli siano degni di tutela. Può questa tutela avere livelli differenti nelle due regioni? Possiamo pensare, per esempio, che il tronco dell’albero sia protetto da agenti inquinanti da una parte, e con tecniche all’avanguardia, mentre dall’altra parte ci sia solo una piccola protezione di tela? O che la nidificazione degli uccelli in un’area a cavallo fra due regioni venga protetta, impedendo lo scoppio di petardi a scopo celebrativo da una parte, ma non dall’altra?
Se il petardo scoppia in Campania, per esempio, nessun problema, ma scatta la multa se il petardo viene fatto scoppiare in Lazio? Questa settimana si discuterà al Senato il disegno di legge sull’autonomia differenziata, l’ultima realizzazione del federalismo propugnato soprattutto dalla Lega. Delle materie oggetto di differenziazione fa parte anche la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, i cui Lep, cioè i livelli essenziali di prestazione e dei servizi che devono essere garantiti in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, devono però ancora essere fissati da un apposito decreto e comunque dovranno differire dai cosiddetti Lepta, cioè i Livelli essenziali delle prestazioni tecnico-ambientali che riguardano il sistema di controllo e monitoraggio oggi in capo al Sistema nazionale di protezione ambientale.
Si tratta dei livelli minimi di tutela ambientale che lo Stato dovrebbe assicurare dappertutto, a beneficio di tutti i cittadini, lasciando poi alle regioni facoltà di differenziare le loro scelte. Qui le cose si fanno particolarmente problematiche, e potrebbero rendere reali questi casi immaginari. Da un lato, i livelli essenziali sono impossibili da determinare a livello locale. In che senso ci sono livelli essenziali di attività climalteranti in una regione, per esempio? Il computo delle emissioni e del loro impatto sul clima è sempre globale. Si possono calcolare le emissioni pro capite e le emissioni di uno Stato.
Ma il calcolo non serve a stabilire l’impatto della singola particella di gas a effetto serra (che da sola non produce cambiamenti del clima, ma ha bisogno di tutte le altre), bensì a stabilire le responsabilità politiche e il livello di impegno: quale proporzione dei costi dell’abbattimento delle emissioni deve ricadere su quello Stato, o quale contributo all’abbattimento quella nazione dovrebbe dare. Inoltre, livelli difformi al di sopra dei presunti livelli essenziali possono avere conseguenze negative che si diffondono globalmente.
Per esempio, calendari venatori differenti possono determinare cambiamenti delle rotte migratorie e delle abitudini di riproduzione degli animali cacciati. Questi cambiamenti, nel caso di specie delicate in cattivo stato di conservazione, possono fortemente aumentare i rischi. Il problema è che l’ambiente non necessita soltanto di livelli minimi di tutela, i cosiddetti standard minimi più volte richiamati dalla Corte costituzionale, ma di una gestione di vasta scala, che trascende il livello regionale. Dunque, non dobbiamo soltanto stabilire quali livelli di protezione vogliamo (e anzi dobbiamo) raggiungere, anche in linea con le strategie internazionali, ma alzare il livello gestionale in un’ottica sempre più ampia, sistemica, e dunque transnazionale.
L’ambiente non prevede confini (che non per niente sono fatti sociali, non naturali). Inoltre, dal 2022 l’ambiente e la sua tutela è incastonato nella nostra Costituzione. Questo fa della tutela dell’ambiente un diritto di tutti i cittadini del nostro paese, un diritto tutelato in maniera molto forte. E l’inserimento della tutela dell’ambiente e degli ecosistemi in Costituzione fa seguito anche ad analoghe disposizioni del diritto internazionale. Si dovrebbe lasciare alle regioni la protezione di diritti costituzionalmente garantiti e di principi generali del diritto internazionale? Non si capisce bene perché, mentre si capisce bene che sarebbe rischioso, dal momento che potrebbe produrre livelli differenti di tutela dei diritti, cioè diseguaglianza.
La tutela dell’ambiente, insomma, è una sfera intrinsecamente globale o almeno nazionale. L’autonomia differenziata, su questa materia, è o dannosa o impossibile. Speriamo che la discussione in Senato tenga conto di questi aspetti e che la voglia di autonomia delle regioni e dei partiti che la rappresentano si fermi di fronte alla delicata situazione del patrimonio ambientale del nostro paese.
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