Rivoluzione, momento storico, svolta epocale, sono alcune delle roboanti definizioni utilizzate in occasione del trentennale della trasmissione del videomessaggio con il quale il 26 gennaio del 1994 Silvio Berlusconi annunciò, dopo lunga incertezza e una altrettanto lunga preparazione, il suo ingresso nell’agone politico.

A rivederlo ora, nella sua ambientazione in uno studio professionale di successo allestito a villa Macherio, nella sua autocelebrata solennità, smorzata ed addolcita dall’effetto flou che richiamava la calda atmosfera delle pubblicità del Mulino Bianco, non solo mostra tutti i suoi anni, ma con più chiarezza emerge quell’impasto di vecchio e nuovo, quel mix di rivoluzione e di restaurazione, che rimarranno una caratteristica della sua stagione politica.

Che si sia trattato di un atto innovativo, di una rottura degli schemi e dei formati della politica italiana di allora è indubbio. La discesa in campo fu la certificazione che la politica aveva traslocato dalle piazze fisiche a quella elettronica.

La telepolitica

ANSA

Da più di 10 anni al Maurizio Costanzo Show i politici si erano accomodati a fianco di soubrette, comici e signor nessuno sul palco del Teatro Parioli. Nel 1987 Bettino Craxi aveva annunciato la fine del “patto della staffetta” e l’apertura della crisi di governo a Mixer prima che in Parlamento. Con la discesa in campo si entrava a pieno titolo nella telepolitica.

Un soggetto politico che nasceva dalla televisione, in quanto emanazione diretta dell’azienda televisiva del cavaliere, e in televisione, con un videomessaggio, non si era mai visto. «Una novità assoluta, difficilmente decifrabile» secondo Gustavo Zagrebelsky.

Ma a ben vedere era l’istituzionalizzazione del rigido patto di alleanza instaurato negli anni Ottanta fra un sistema politico sempre più in affanno e quello televisivo, diviso fra vecchi vincoli di obbedienza del sistema pubblico e i nuovi legami di interesse della nuova emittenza privata. Da ora, finalmente uniti, avrebbero viaggiato affiancati.

Il comizio

La trasmissione via satellite della registrazione del video direttamente nelle redazioni giornalistiche di Rai e della Fininvest e dell’agenzia Reuters, anticipava la moderna disintermediazione. Silvio si rivolgeva direttamente al suo pubblico scavalcando, per quanto possibile allora, la figura dei giornalisti e la modalità dell’intervista. Ma per farlo sceglieva la forma più tradizionale e antica, quella del comizio e del monologo. Un soliloquio di 9 minuti, un’eternità anche in un’epoca che ancora non conosceva la brevità dei social.

Berlusconi utilizzava un nuovo vocabolario lontano da quello della politica: movimento di uomini nuovi e non partito, club e non sezioni, promotori e non militanti: senza strutture dirigenti, congressi, regolamenti. Insomma, un non-partito che diventerà il primo e più compiuto partito personale italiano.

Una nebulosa istituzionale della quale, ancora ad elezioni vinte, Norberto Bobbio si domandava cosa fosse, «perché sino ad ora nessuno si è degnato di farcelo sapere: eppure saperlo è un diritto di cittadini democratici».

Una confezione nuova

Ma al contempo il non-partito parlava una lingua vecchia costruita su paure e miraggi. La prima, come già nel 1948, l’odio di classe e il pericolo degli orfani e nostalgici di un comunismo nel frattempo crollato sotto le macerie del muro di Berlino. Il secondo, il miracolo economico, nostalgia di una Italia felix e della dolce vita degli anni Sessanta, che il suffisso “nuovo” non riusciranno a far tornare.

Berlusconi, invitava a diffidare di profeti e salvatori, ergendosi a imprenditore-salvatore dell’Italia in pericolo. Anticipava l’antipolitica contro i politicanti senza mestiere, auspicando l’unione di forze nuove, creative e innovative nel solco dei principi fondamentali delle democrazie occidentali e dava vita al Polo delle libertà con la neo-sdoganata Alleanza nazionale e l’indipendentista Lega nord.

Una confezione nuova fiammante per contenuti spesso vecchi e vuoti. E un’Italia che trent’anni dopo non è quel paese felice, solidale, moderno, efficiente, libero, sviluppato, con meno insicurezza, disuguaglianze e criminalità promesso quel 27 gennaio 1994.

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