Di norma, i ruoli apicali nelle istituzioni impongono linee guida stringenti al comportamento di chi li occupa. E più questi ruoli sono in cima alla scala, più il binario ha un passo stretto. Ignazio La Russa, fortunosamente arrivato alla presidenza del Senato per il soccorso di alcuni parlamentari formalmente all’opposizione ( le impronte digitali, per quanto camuffate, riportano ai renziani), si sottrae a questa regola.

Ricoprire la seconda carica della Repubblica non l’ha cambiato in nulla. È rimasto in tutto e per tutto fedele all’imprinting politico originario di dirigente di estrazione missina. Cioè di un partito anti-sistema, ostile alla Repubblica nata dalla lotta antifascista, nostalgico del regime mussoliniano.

Per molti esponenti di quel mondo è un merito non aver rinnegato la propria provenienza. La stessa presidente del Consiglio ha più volte richiamato con orgoglio la sua ascendenza politica. Perché, ha detto, adottando una espressione cara all’ambiente nostalgico degli anni Settanta, le radici non gelano.

Infatti per Giorgia Meloni il Movimento sociale di Giorgio Almirante rimane il riferimento principe, mentre l’Alleanza nazionale dell’ultimo Gianfranco Fini, un tradimento dell’Idea (termine che, nel gergo dell’estrema destra indica nient’altro che il fascismo) .

Da quando è diventato presidente del Senato La Russa ha inanellato una serie di dichiarazioni ed esternazioni che oscillano dall’improprio allo scandaloso. L’ultima è uscita nel recente incontro con la stampa dove ha minimizzato fino a giustificare l’aggressione dei militanti di CasaPound di Torino contro un giornalista della Stampa. Questa perla fa seguito a molte altre, dalla incredibile mistificazione dell’attacco partigiano di via Rasella dove la brigata nazista venne descritta come paciosi e bonari componenti di una banda militare, alle critiche per la candidatura al parlamento europeo della prigioniera di Orbán, Ilaria Salis.

Inadeguato

La Russa si dimostra inadeguato alla carica che occupa perché non riesce a rispettare i codici politico-ideologici che informano la Repubblica e manifesta invece una adesione politico-sentimentale a valori incompatibili con il nostro sistema. La sua inadeguatezza risalta in maniera macroscopica se messa a confronto con la terza carica istituzionale, il presidente della Camera, il leghista Lorenzo Fontana.

Arrivato al podio di Montecitorio sull’onda di critiche fortissime per le sue posizioni clerico-tradizionaliste di opposizione all’aborto, ai matrimoni gay e all’agenda libertaria in genere, Fontana ha invece adottato un profilo iper-istituzionale senza debordare mai nella politica quotidiana. Zero o quasi interviste fuori dai momenti ufficiali e astinenza quasi assoluta di commenti sulle vicende politiche correnti.

Un comportamento diametralmente opposto a quello di La Russa. Se nel caso di Fontana la carica ha plasmato chi la occupava secondo i canoni di self-restraint e di identificazione nell’istituzione lasciando in ombra le proprie preferenze politiche, nel caso di La Russa, tutto il contrario, da subito ha rivendicato il suo diritto a fare politica e ad esprimersi a 360 gradi.

Il dirigente politico di lungo corso ha prevalso sul presidente del Senato. Questo pone un problema di compatibilità con la carica che occupa anche perché in caso di impedimento del presidente della Repubblica, ne esercita la supplenza. E che La Russa faccia le veci dell’inquilino del Quirinale lascia decisamente perplessi, se non inquieti.

Equilibrio, senso della misura, posizione super partes, sono tutte qualità indispensabili ai vertici della repubblica. Sergio Mattarella le ha interpretate tutte con rigore. Il consenso trasversale di cui gode rende palese quanto queste qualità siano non solo necessarie ma apprezzate. Chi invece dà prova di partigianeria, di ostilità fino al disprezzo per gli avversari politici, e in più – e che di più – di nostalgia per un regime liberticida e totalitario, non può riscuotere quella fiducia generale che gli italiani di ogni parte devono avere in chi è collocato al vertice del nostro sistema.

La strategia da trovare

È tempo che l’opposizione affini una strategia per contenere o, al limite, sfiduciare, un presidente del Senato che ha dimostrato di non essere in grado di esercitare quella funzione come richiesto dalle prassi politica e costituzionale.

Che il governo incarni i sentimenti e le domande di una certa parte è comprensibile, anche se dovrebbe tener conto di interessi generali ( ma non è certo così quando fa continui regali ad evasori e alle categorie amiche, dai tassisti ai balneari) . Che la seconda carica dello stato vada a ruota del governo e svalorizzi i pilastri politico-ideali del nostro sistema no, non è consentito.

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