Non si può che prendere atto del mandato di cattura della Corte Penale Internazionale nei confronti di Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant. La condotta di guerra a Gaza è davvero ben oltre i limiti dell’umanità. Non mi addentro nel merito delle accuse, in quanto non conosciamo nel dettaglio le prove a supporto della decisione a causa del secretamento degli atti ufficiali e, da qui, nessuno è in grado di verificare le contro-obiezioni israeliane ripetute come un mantra in questi mesi e immediatamente riportate dalle associazioni che sostengono la legittimità della condotta di guerra dopo il 7 ottobre: 42.870 tonnellate di cibo entrate nella Striscia, 34.980 d’acqua potabile, 59.930 di attrezzatura per riparo, 23.260 di forniture mediche, 25.880 di forniture miste.

Poi, ancora, rifornimenti di benzina e altre attrezzature logistiche. Anche fossero cifre corrette, non riesco a farmi un’idea di quanto possano soddisfare il fabbisogno di una popolazione di due milioni di abitanti. Nemmeno ho cifre per fare un paragone con gli altri conflitti degli ultimi anni, a cominciare dal Medio Oriente.

Diciamo che l’impressione è che ognuno scelga di dar credito all’uno o all’altro argomento in base al proprio tifo calcistico. Posso, però, dire senza tema di smentite che la guerra a Gaza, assai diversa da quella in atto sul fronte Nord a cui è impunemente accomunata, è condotta senza alcuno scopo a causa della divisione interna ad Israele, che si espande dalla società civile, agli apparati (governo contro esercito, intelligence, presidenza della repubblica), penetrando persino nell’esecutivo stesso e nel gabinetto di guerra.

È chiaro a tutti che sia criminale scaricare la mancanza di una qualsivoglia strategia su una popolazione inerme attraverso continui bombardamenti. In questa fase sembra che Netanyahu stia assecondando i progetti espansionistici della parte suprematista del governo, sia nel Nord della Striscia che in Cisgiordania, dove è impressionante la porzione di territorio acquisita con violenza sistematica dai sionisti religiosi in questo ultimo anno.

Vedere analisi di Shaul Arieli, forse il principale esperto delle politiche di insediamento israeliane. Ma questo progetto trova la strenua opposizione delle centinaia di migliaia di persone che manifestano quotidianamente in tutto il Paese e dell’esercito stesso, che ancora tratta per un accordo per la liberazione degli ostaggi. Ovvio che non possa costruirsi offrendo in cambio l’occupazione del Nord di Gaza e il progetto del Grande Israele.

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Una leadership indebolita

Certo, mi sarebbe piaciuto che la Corte avesse condannato i vertici di Hamas anche per gli eventi post 7 ottobre, a cominciare dall’utilizzo del proprio popolo come scudo umano in nome di una macabra ideologia del martirio dichiarata apertamente da Khaled Meshal e Yahya Sinwar e perseguita tutt’oggi da chi tiene le redini del movimento. In ogni caso, l’una cosa non annulla l’altra e il benaltrismo non è una categoria giuridica.

Così come non insisto sull’argomento, che ha pure una sua logica, di una decisione che allontana la pace. Anzitutto perché potrebbe, invece, favorire un indebolimento della leadership di Netanyahu, secondo perché ogni tribunale deve seguire una logica giuridica universalistica senza farsi condizionare da eventuali eventi successivi.

Trascuro anche il fatto che né Erdogan (solo pochi giorni fa altri 50 raid aerei turchi in Siria per scongiurare la presenza curda) né Assad (500.000 morti con uso di armi chimiche nella sua azione contro i «ribelli») hanno ricevuto un mandato d’arresto perché non è colpa della Corte se alcuni Stati non la riconoscono e/o siano protetti dal potere di veto di Russia e Cina (alla faccia di chi rimprovera il doppio standard dell’Occidente).

Ciò che credo sia nostro dovere è evitare che questa sentenza sia il viatico per alimentare un antisionismo (leggi antisemitismo) già ben oltre il livello di guardia, estendendo a tutto Israele e a tutti gli ebrei le colpe di un governo. Se si parte dicendo che l’antisemitismo è colpa di Bibi, che pure spera che la maionese impazzisca, si parte male: i pregiudizi sono negli occhi di chi guarda, non c’è alcuna necessità logica in questo processo di estensione.

Se si fosse applicato al mondo musulmano, come voleva la propaganda della destra, in questi anni di terrorismo stragista lo stesso criterio, l’Europa sarebbe andata in fiamme. È vero che, per una serie di ragioni in cui non mi addentro, gli ebrei non hanno una stessa capacità destabilizzante, ma l’antisemitismo sì: da sempre è il viatico per la legittimazione, attraverso precisi attori politici, delle pulsioni più distruttive dell’identità occidentale.

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