- Cosa sarà delle varie flat tax proposte dai partiti del centro destra?
- Le versioni complete al 15 o al 23 per cento non vedranno la luce, ed è una buona notizia
- Le versioni mini aumenteranno comunque inefficienza e iniquità del sistema
L’esito delle elezioni ci introduce nella stagione della flat tax, elemento centrale nei programmi dei tre partiti della coalizione di destra. Cosa c’è da aspettarsi?
Riguardo alla versione piena dell’imposta piatta, proposta dalla Lega con aliquota unica al 15 per cento e da Forza Italia al 23 per cento, si può prevedere che non se ne farà nulla, per la semplice ragione che il costo sarebbe non sostenibile dal bilancio.
Un progetto serio di flat tax, come quello presentato dall’Istituto Bruno Leoni qualche anno fa, dovrebbe accompagnare alla riforma fiscale una profonda riduzione del perimetro dell’intervento pubblico e quindi della spesa. Meno tasse e meno servizi.
Si può essere o meno d’accordo ma è un’idea con una sua razionalità, per lo meno contabile.
I progetti di Lega e FI si basano invece sull’illusione secondo cui una forte riduzione delle aliquote si pagherebbe da sola facendo emergere nuova base imponibile, attraverso una diminuzione dell’evasione e un miglioramento degli incentivi a lavorare.
E’ l’idea alla base della curva di Laffer, per cui, oltre un certo punto, la diminuzione delle aliquote produce un aumento del gettito. L’evidenza empirica indica che l’attuale livello delle aliquote è ben al di sotto di quel punto (l’aliquota che rende massimo il gettito secondo la letteratura economica potrebbe arrivare anche a superare l’80 per cento).
Massimo Baldini e Leonzio Rizzo su lavoce.info mostrano che anche un recupero totale dell’evasione Irpef non sarebbe sufficiente a recuperare la perdita di gettito delle due proposte.
Riguardo all’effetto sugli incentivi, per non generare perdite di gettito, esso dovrebbe avere una potenza mirabolante: la base imponibile (in pratica, i redditi da lavoro e pensione) dovrebbe aumentare del 45 per cento con la proposta della Lega e del 35 per cento con quella di FI.
Incentivi al lavoro?
A proposito di incentivi al lavoro, un elemento su cui la letteratura converge è che l’effetto negativo delle imposte riguarda la decisione se lavorare o meno piuttosto quella su quanto lavorare.
Di fatto, riguarda soprattutto la fascia più povera della popolazione. Qui si dovrebbero semmai concentrare gli sforzi.
Per i percettori del reddito di cittadinanza un aumento del reddito da lavoro di 100 implica una riduzione immediata del sussidio di 80 e dopo un anno di 100. L’aliquota di tassazione implicita è, quindi dell’80 per cento subito e poi del 100 per cento.
Queste persone molto difficilmente cercheranno lavoro, come narra un’ampia aneddotica. Un caso di scuola di trappola della povertà, in misura sconosciuta ai paesi che hanno da tempo schemi di protezione sociale generali.
Per fare un esempio, lo Universal credit del Regno Unito ha un’aliquota implicita del 65 per cento (se il reddito aumenta di 100 il sussidio diminuisce di 65).
Per inciso, il grande studioso inglese dei temi della disuguaglianza Anthony Atkinson nel suo ultimo libro sosteneva che l’aliquota marginale dell’imposta sul reddito nel Regno Unito per i redditi più alti dovesse essere aumentata dal 45 al 65 proprio per essere portata allo stesso livello di quella che grava sui più poveri.
Certo, la trappola della povertà si eliminerebbe alla radice abolendo i sussidi, come nella visione del nostro centro-destra.
Le mini flat tax
E’ probabile invece che saranno introdotte le versioni mini della flat tax: l’estensione a 100.000 euro di ricavi per quella sui lavoratori autonomi, proposta dalla Lega, e la flat tax incrementale da FdI. Sono versioni minori della stessa logica, la prima con effetti dannosi, la seconda probabilmente pressoché nulli.
Già dal 2019 esiste un’imposta sostitutiva con aliquota proporzionale del 15 per cento sul reddito, determinato in modo forfettario, di lavoratori autonomi e professionisti con ricavi fino a 65.000 euro.
Al regime hanno aderito circa 2 milioni di contribuenti che pagando l’imposta sostitutiva esauriscono gli obblighi in materia di Irpef e relative addizionali comunale e regionale e sono esenti da IVA e Irap.
Dal punto di vista dell’equità del prelievo è una misura scandalosa: in corrispondenza del limite di 65.000 euro di ricavi e un reddito imputato di 43.000, un professionista paga meno della metà di quanto versa un lavoratore dipendente con lo stesso reddito.
Dal punto di vista dell’efficienza, un incentivo a restare piccoli e a non dotarsi di mezzi di produzione (il cui costo nel regime forfettario non sarebbe deducibile).
Un incentivo, insomma, a mantenere bassa la produttività del settore dei servizi.
Estendere il limite a 100.000 euro di ricavi ingigantirebbe il problema, in pratica escludendo tutti i professionisti dall’Irpef, e esalterebbe la differenza di trattamento con i lavoratori dipendenti (come è evidente confrontando l’aliquota del 15 con quella del 43 applicata per l’Irpef ai redditi oltre 50.000 euro).
La flat tax incrementale prevede di tassare al 15 per cento gli incrementi di reddito rispetto al reddito massimo conseguito nei tre o cinque anni precedenti.
L’agevolazione varrebbe solo per un anno, poi si ricadrebbe nel regime Irpef ordinario per tutto il reddito, a meno di ulteriori aumenti che verrebbero tassati, ancora per un anno, al 15 per cento.
Si immagina che ciò avrebbe l’effetto di far emergere base imponibile (ridurre l’evasione) e di incentivare il lavoro. Francamente c’è da essere molto scettici.
Perché mai un evasore parziale dovrebbe manifestare il suo vero reddito al fisco per godere di un’aliquota ridotta per un anno? Certamente lo schema si presta a comportamenti opportunistici come quello di concentrare aumenti eccezionali di reddito in un solo anno e darebbe un bel contributo alla frammentazione del sistema tributario e alla confusione.
Per non parlare della violazione del principio di equità orizzontale – già clamorosamente violato dalla flat tax sugli autonomi – per cui allo stesso reddito dovrebbe corrispondere la stessa imposta.
In generale, un approccio frammentario privo di visione di insieme che non lascia molto spazio all’ottimismo sulla capacità della nuova legislatura di riformare un sistema iniquo e inefficiente.
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