Si parla di impunità, a proposito della prescrizione, ma circolano pochi dati. Ne discuterò alcuni sui crimini economici e finanziari, come la corruzione o il falso in bilancio. Reati scelti non perché siano necessariamente più gravi di altri, ma perché la loro diffusione colpisce la fiducia nella politica e nei mercati, e perché i loro protagonisti sono tipicamente parte delle categorie – politici, imprenditori, amministratori pubblici – che più influenzano le scelte politiche delle nazioni.

Il confronto

Da decenni la Banca mondiale elabora stime sulla diffusione della corruzione. Il suo indicatore ordina le nazioni secondo una scala che va da 2,5 a -2,5. Nel 2019 il livello assegnato a un paese particolarmente virtuoso, la Finlandia, era 2,15. Il livello della Francia, dove gli scandali non sono ignoti, era 1,30. Quello dell’Italia 0,24.

Non conosco simili stime per gli altri reati economici e finanziari, ma suppongo che la situazione non sia molto diversa. Del resto, l’indicatore del rispetto della legge disegna un quadro simile: Finlandia 2,02; Francia 1,41; Italia 0,28. Questi dati non vanno presi alla lettera, ma resta utile fissare gli ordini di grandezza che ci restituiscono. In Italia la corruzione sarebbe nove volte più diffusa che in Finlandia (2,15/0,24 = 8,9), e oltre cinque volte più che in Francia (1,30/0,24 = 5,4). Lì, invece, la diffusione sarebbe meno che doppia rispetto alla Finlandia (2,15/1,30 = 1,7). Il Consiglio d’Europa pubblica annualmente i dati sulla popolazione carceraria. Secondo l’ultima rilevazione, riferita al 31 gennaio 2020, le persone che scontavano in carcere una condanna definitiva per reati economici e finanziari erano 136 in Finlandia, 2.601 in Francia, e 418 in Italia. In rapporto alla popolazione, quindi, per questi reati c’era un carcerato ogni 40.625 residenti in Finlandia, uno ogni 25.797 in Francia, uno ogni 144.126 in Italia.

Ciò significa che in Finlandia il numero dei carcerati per questi reati era oltre il triplo che in Italia (144.126/40.625 = 3,5), e in Francia oltre il quintuplo (144.126/25.797 = 5,6). E la ragione non è una diversa propensione a ricorrere al carcere, perché rispetto alla generalità dei reati l’Italia imprigiona più di entrambe queste nazioni. I carcerati con condanna definitiva per reati di droga, in particolare, sono quasi il doppio che in Francia e quasi il triplo che in Finlandia. Esclusa questa spiegazione, combino la comparazione con quella sulla frequenza dei reati. Se in Italia i crimini economici e finanziari sono nove volte più diffusi che in Finlandia, ma i carcerati per questi reati sono meno di un terzo, in rapporto alla popolazione, ne consegue che verso di essi l’Italia è oltre trenta volte più tollerante della Finlandia (8,9x3,5 = 31,1). Il rapporto con la Francia è pressoché uguale (5,4x5,6 = 30,2). Francia e Finlandia sono in equilibrio, infatti: la prima è più corrotta della seconda (1,7 volte di più) ma anche il numero dei carcerati è maggiore (di 1,6 volte).

Tolleranti

Queste cifre, ripeto, non devono essere prese alla lettera. Non solo per le limitazioni e la scarsezza degli indicatori, ma anche perché i confini cronologici e geografici della comparazione dovrebbero essere allargati. Ma almeno una cosa si può dire, alla luce dell’equilibrio esistente tra Francia e Finlandia e dello squilibrio tra l’Italia ed entrambe. Noi siamo singolarmente tolleranti verso i crimini tipici della classe dirigente, che infatti pare più incline a violare la legge che altrove. E che il divario sia di tre, di dieci, o addirittura di trenta conta relativamente poco: l’effetto sullo sviluppo civile ed economico è comunque pesante, per le ragioni che ho detto.

La prescrizione è certo una causa di impunità, soprattutto per questi reati. Ma il problema di fondo, quanto alla riforma della giustizia, è immaginare sanzioni al tempo stesso civili – ossia rispettose della pari dignità delle persone, e temo che in Italia il carcere non lo sia quasi mai – e dissuasive. Questo è un tema non meno urgente dell’efficienza e dei tempi della giustizia, ma è meno discusso. Una ragione, presumo, è che questi sono i reati tipici della classe dirigente, nella quale la solidarietà interna sembra spesso prevalere sulla cura dell’interesse generale. Quindi è dalla società che deve venire la spinta per affrontare il problema. Ma se anche ciò non avvenisse, converrà tenere presente questi dati nel valutare il dibattito che ora si svolge attorno alla riforma della giustizia.

Autore di Declino Italia, Einaudi 2021, e di The Political Economy of Italy’s Decline, Oxford University Press 2018 (ed. it. Declino. Una storia italiana, Luiss University Press 2019).

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