- Lo scontro del 25 settembre è tra il rosso e il nero. Come giustamente Enrico Letta e il Pd avevano impostato la campagna elettorale.
- Da un lato, si staglia il colore della passione intrecciata con la storia dell’emancipazione, da quella nazionale – le camice rosse garibaldine – a quella sociale delle lotte contadine e operaie d’inizio secolo.
- Dall’altro, il nero funereo di quelle camicie che celebravano il culto della morte e della violenza.
Lo scontro del 25 settembre è tra il rosso e il nero. Come giustamente Enrico Letta e il Pd avevano impostato la campagna elettorale. Poi, il benpensantismo di sinistra, di quella sinistra pallida che ha timore di sé, ha convinto il partito democratico a ottundere questo messaggio. Che, invece, ha la chiarezza abbagliante della sfida in atto.
Da un lato, si staglia il colore della passione intrecciata con la storia dell’emancipazione, da quella nazionale – le camice rosse garibaldine – a quella sociale delle lotte contadine e operaie d’inizio secolo.
Dall’altro, il nero funereo di quelle camicie che celebravano il culto della morte e della violenza. I colori sono parte integrante dei messaggi politici in ogni paese. In Germania, per esempio, si parla oggi di coalizione semaforo per il verde dei Grünen, il giallo dei liberali e il rosso dei socialdemocratici.
In Italia, la dicotomia rosso/nero ci riporta allo scontro epocale di un secolo fa, quello che dalla marcia su Roma in poi ha segnato il corso della nostra storia nazionale. Per quanto Fratelli d’Italia e la sua leader insistano nell’incipriarsi, sotto quel velo traspare il nero di cui si vestono simbolicamente i camerati che si ritrovano per celebrare il Duce e il Ventennio, o quando sfilano per le strade in occasione di qualche manifestazione.
Inutilmente, alla convention milanese della primavera scorsa Giorgia Meloni ha irriso con una sceneggiata istrionica la domanda sul “colore” del partito: bastava rivedere il video di Fanpage sui camerati milanesi per avere una risposta.
O ascoltare le parole di ammirazione per Adolf Hitler, «grande statista», pronunciate da Calogero Pisano, candidato di Fratelli d’Italia ad Agrigento. Lapsus di un provinciale, errori di gioventù, parole dal sen fuggite: tutti eufemismi per schivare il fiotto di fango che tracima da quella cultura politica.
Di fronte al passato che torna, a quel nero che non scolora mai, il rosso della sinistra progressista rappresenta l’unica alternativa credibile. Esiste ancora una divisione netta tra chi vuole una società aperta e chi la vuole chiusa e buia.
Ancor più delle parole contano i simboli, i riferimenti identitari: il rosso contrapposto al nero mantiene tutta la sua potenza evocativa per riportare alle urne tanti perplessi e delusi.
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