L’Italia potrebbe svolgere un ruolo quando nei prossimi mesi verranno al pettine i nodi del nucleare e delle sanzioni. Nella sua debolezza interna ed esterna, la Repubblica Islamica scorge l’occasione per produrre un mutamento. L’Iran ha bisogno di tempo per cercare di parare i colpi, se fosse necessario anche per accelerare sul fronte del nucleare militare. È su questa necessità che elmetti e pragmatici hanno trovato una sintesi
Il rilascio di Cecilia Sala senza che sia ancora concluso quello, parallelo, di Abedini rimanda alla regola aurea di simili negoziazioni: essenziale è che nessuno perda la faccia. Così, non appena si è aperto uno spiraglio, la Repubblica Islamica, o almeno il suo governo, ha cominciato a “slegare” le due vicende, sostenendo che tra l’arresto della giornalista italiana e quello dell’uomo dei droni oggetto delle pressanti attenzioni americane non vi fosse alcun legame.
Passo preliminare, quello del venir meno del link tra i due casi, per muoversi senza dover dare forma a uno scambio fondato sulla rappresentazione della nuda forza. Un palese scambio politico di “ostaggi” che il governo italiano, così come quello statunitense, non potevano digerire. In questa vicenda, infatti, il convitato assai poco di pietra è l’America, alle prese con una transizione presidenziale che pare assumere il volto di un cambio di paradigma sistemico.
La posizione di Abedini
Una volta chiarite le intenzioni – faremo ciò che è possibile perché Abedini sia liberato, avrebbe fatto sapere Roma ai suoi interlocutori a Teheran –, restano al governo italiano due chances: un’autonoma, e favorevole, decisione dei giudici; il più problematico, ma non giuridicamente attaccabile, ricorso all’articolo 718 del codice di procedura penale, che consente al ministro della Giustizia di non estradare l’arrestato.
Via politicamente praticabile se il granitico convitato, orientato dalle scelte del nuovo inquilino della Casa Bianca e dei suoi influenti, tecnologici, co-reggenti, benedice l’intesa in nome di vantaggi politici altri, maggiori di quelli che potrebbero venire dall’opporsi alla scelta italiana.
Crediti, quelli che possono venire dall’accoglimento delle istanze di Roma, che sicuramente Trump non mancherà di esigere: magari chiedendo all’Italia un deciso allineamento sul terreno di quelle relazioni tra le due sponde dell’Atlantico che non si annunciano semplici per l’Europa.
E, in tutto questo, cosa ottiene Teheran? Se non vi saranno intoppi, quanto meno il rilascio di Abedini, caro ai Pasdaran per il ruolo che svolge nel campo della sempre in evoluzione tecnologia per droni.
Difficile, comunque, che i Guardiani della Rivoluzione abbiano semplicemente ceduto il passo alla ragionevolezza auspicata dal presidente Pezeshkian, convinto assertore di scelte che non mettano all’angolo la Repubblica Islamica. Fatto buon viso a cattivo gioco di fronte al caso Sala, Pezeshkian aveva una sola carta spendibile con la potente milizia, vero garante politico e militare della sopravvivenza del regime.
Far convergere le due vie, nel tentativo di conciliare la “politica degli ostaggi” reclamata dagli oltranzisti con l’interlocuzione diplomatica verso un paese, l’Italia, che potrebbe svolgere un ruolo calmierante quando, nei prossimi mesi, verranno al pettine i nodi del nucleare e delle sanzioni. Se non il via libera della Casa Bianca trumpiana alla caccia al bersaglio grosso invocata da Israele che, nella debolezza interna ed esterna della Repubblica Islamica, scorge l’occasione per produrre un mutamento di regime che completi il ridisegno strategico dei rapporti di forza nell’area.
Le prospettive
L’Iran ha bisogno di tempo per cercare di parare i colpi, se fosse necessario anche per accelerare sul fronte del nucleare militare. È su questa necessità che elmetti e pragmatici hanno trovato una sintesi.
Il sì dei Pasdaran, prima ancora che quello della magistratura legata alla Guida Khamenei, alla soluzione prospettata nel caso Abedini-Sala – senza quell’assenso la scarcerazione della giornalista italiana non sarebbe stata possibile –, c’è stato perché i Guardiani si sono resi conto che l’Iran potrebbe presto fare appello ai paesi europei – a partire dall’Italia con cui i rapporti non si sono interrotti nemmeno nei momenti più difficili –, per cercare di arginare la tempesta che si sta formando nel Nord Atlantico e rischia di diventare uragano se prenderà forza sulla costa mediorientale del Mediterraneo.
Una saldatura tattica, quella tra riformisti moderati e Pasdaran, resa possibile da contingenze irripetibili: presa d’atto della debolezza del regime da parte della leadership iraniana, aspirazioni e ambizioni dei leader politici, oltre che altre partite di compensazione gettate sul piatto, da parte occidentale. Congiuntura chiusasi, per ora, favorevolmente sulla pista di un aeroporto italiano.
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