- È comprensibile il clima di soddisfazione che traspare dalle dichiarazioni degli esponenti del centrosinistra veneto dopo le recenti amministrative. Soprattutto se si considera il pessimo risultato del centrosinistra alle regionali del 2020, quando Zaia ha conseguito il 76,8 per cento dei suffragi.
- Questi risultati devono essere valutati con prudenza. Alcuni elementi specifici potrebbero non essere riproducibili per le elezioni regionali e nazionali. Bisogna sempre considerare il peso che hanno avuto, in sede locale, i contrasti interni al centrodestra.
- A Verona, il centrosinistra è stato premiato dall’impatto di un candidato “civico” dal profilo singolare quale Tommasi e a Padova dalla continuità amministrativa garantita da Giordani. Resta la necessità, per il centrosinistra, di dover proseguire la “lunga marcia” per poter essere competitivo anche nei centri più piccoli del Veneto diffuso e la crescita di una classe dirigente locale nella quale, sia a Padova sia a Verona, sono stati candidati ed eletti con molte preferenze elementi giovani
È comprensibile il clima di soddisfazione che traspare dalle dichiarazioni dei principali esponenti del centrosinistra veneto dopo i risultati delle ultime amministrative, che hanno visto la riconferma del Sindaco di Padova al primo turno e la sorprendente vittoria di Damiano Tommasi al ballottaggio di Verona.
Ancora più comprensibile se si considera il risultato pessimo del centrosinistra alle regionali del 2020, nelle quali Luca Zaia ha raggiunto il 76,8 per cento. Ma occorre valutare questi risultati con prudenza.
Il centrosinistra tende ad avere i risultati migliori nei centri medio-grandi, mentre fatica ad affermarsi nei comuni più piccoli. In Veneto tale dinamica riflette il tipo di radicamento di lungo periodo delle forze progressiste, ancora antecedente all’avvento del fascismo.
Inoltre, la frattura tra voto urbano e voto della provincia è particolarmente pronunciata negli ultimi anni, non solo in Veneto ed evidenzia una tendenziale difficoltà per le forze progressiste ad affermarsi all’ esterno rispetto alle reti tra grandi città integrate nei flussi globali.
Le divisioni del centrodestra
Vi sono poi degli elementi specifici che hanno contribuito al buon risultato del centrosinistra nelle amministrative che potrebbero non riprodursi alle elezioni regionali o politiche: le spaccature nel centrodestra e l’effetto traino di candidati “civici”.
La fortuna leghista in Veneto è legata a posizioni autonomiste, la svolta “nazionale” di Matteo Salvini non è stata indolore e il confronto fra queste due anime della Lega ora è emerso in piena luce.
A questo elemento si aggiunge la sfida di Flavio Tosi, che, almeno a Verona, riesce a mobilitare porzioni di elettorato consistenti.
Nel 2017 la sfida per il governo della città scaligera è stata tutta interna al centrodestra. Cinque anni fa, al primo turno, Federico Sboarina aveva raggiunto il 29,1 per cento (33.440 voti), sostenuto da diverse liste: Sindaco Sboarina col 13,6 per cento (14.978 voti), Lega Nord 8,8 per cento (9.704), Forza Italia 3,4 per cento (3.763) e Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale 2,7 per cento (2.991).
Al ballottaggio ha dovuto affrontare Patrizia Bisinella, moglie di Tosi, che ha raccolto il 23,5 per cento (26.946 voti), mentre la candidata del centrosinistra, Orietta Saleni si è fermata al 22,4 per cento (25.724).
Poi al ballottaggio aveva prevalso Sboarina con il 58,1 per cento (46.962 voti), con un’affluenza al 42, 4 per cento (85.112 voti).
La frattura nel centrodestra si ripropone nel 2022, in condizioni peculiari: Sboarina risulta indebolito dopo il primo mandato di sindaco, Tosi si impegna in aperto contrasto al sindaco uscente e il centrosinistra si compatta a sostegno di un candidato “civico” molto peculiare quale Damiano Tommasi, già calciatore popolare, persona molto impegnata nel sociale e in grado di mobilitare settori di opinione pubblica marginalizzati dalla storica egemonia del centrodestra cittadino.
A sorpresa, al primo turno Tommasi risulta il più votato col 39,8 per cento (43.102), davanti a Sboarina col 32,7 (35.405) e Tosi col 23,9 per cento (25.866). Al ballottaggio Tommasi ottiene il 53,4 per cento (50.118 voti) e Sboarina si ferma al 46,6 (43.740 voti).
È vero che anche stavolta più di un veronese su due non si reca alle urne, ma l’affluenza è lievemente maggiore rispetto al 2017 e Tommasi nel ballottaggio riesce a ottenere 7.000 voti in più rispetto al primo turno, attraendo anche una porzione degli elettori di Tosi.
La continuità amministrativa di Padova
Il 12 giugno a Padova è stato riconfermato al primo turno il Sindaco uscente di centrosinistra, Sergio Giordani, con la percentuale più elevata mai conseguita da un candidato sindaco: il 58,4 per cento. Il suo principale avversario, Francesco Peghin, di centrodestra, si ferma al 33,5 per cento (27.405 voti).
Il risultato è segnato da un’affluenza contenuta (50,2 per cento), più bassa rispetto al turno precedente (nel 2017 aveva votato il 60,8 per cento). Anche in questo caso vi è stata un’astensione selettiva che ha colpito soprattutto l’area del centrodestra.
Infatti, Giordani ha raggiunto nel 2022 quasi lo stesso numero di voti ottenuti cinque anni fa, al secondo turno (sono 47.779 i voti espressi per Giordani nel 2022, erano 47.888 nel 2017 al ballottaggio, quando Giordani si è affermato quale Sindaco per la prima volta, con il 51,8 per cento dei consensi), segno di una certa stabilità complessiva dell’area di centrosinistra, nonostante le differenze riscontrate nell’offerta politica delle ultime tornate.
Nel 2017 Giordani al primo turno aveva ottenuto 28.593 voti (pari al 29,2 per cento) e notevole era risultato l’exploit di un secondo candidato sempre ricollegabile all’area di centrosinistra, Arturo Lorenzoni, ingegnere e docente dell’Università di Padova, che, sostenuto da Coalizione Civica e dalla Lista Lorenzoni Sindaco, otteneva 22.357 voti (22,84 per cento) e, dopo l’apparentamento per il vittorioso ballottaggio, diventava vice-sindaco della prima giunta Giordani.
La coabitazione al vertice dell’amministrazione padovana ha avuto una durata breve: in vista delle elezioni regionali del 20 settembre 2020, Lorenzoni ha lasciato il suo ruolo in giunta, accettando la candidatura del centrosinistra nella sfida proibitiva a Luca Zaia.
Pertanto, dall’autunno del 2020 Lorenzoni è consigliere di minoranza nel Consiglio regionale del Veneto e, nonostante Coalizione Civica abbia sostenuto la riconferma di Giordani, ha espresso un diverso parere – a favore di una nuova candidata sindaca – che però non ha riscontrato un impatto significativo fra gli elettori.
Fra le nove liste a sostegno del Sindaco riconfermato primeggia il Partito Democratico che con il 21,7 per cento (pari a 16.818 voti) figura quale primo partito in città. Segue la lista Giordani Sindaco con il 17,28 per cento (13.413 voti) e Coalizione Civica con il 5,9 per cento (4.621 voti) quale terza forza della coalizione. Quarta lista risulta Padova Insieme con il 3,6 per cento (2.780 voti). Nessuna altra lista raggiunge il 3 per cento.
Il Movimento Cinque Stelle, sostenitore della riconferma di Giordani e parte del “campo largo” ideato dal Pd, si attesta all’1,30 per cento (1.006 voti). Rispetto al 2017, risaltano la crescita del Partito Democratico e della lista Giordani Sindaco, che ottennero, cinque anni fa, rispettivamente il 13,5 per cento (12.028 voti) e 9,3 (8.318).
Parimenti, si ridimensiona il consenso a Coalizione Civica, capace di raggiungere, nel primo turno del 2017, l’11,5 per cento con 10.212 voti (e sono da considerare, al contempo, i voti ottenuti dalla Lista Lorenzoni Sindaco, 9.329, per un 10,5 per cento complessivo).
Se nell’area di centrosinistra si può riscontrare un “effetto alone” collegato alla figura del Sindaco, lo stesso non si può dire per il centrodestra.
In quest’area, nel 2017 era risultata nettamente prima la Lista Bitonci Sindaco, che, con il 24,1 per cento (21.500 voti) figurava quale lista più votata dell’intera città. Seguivano poi fra le liste più votate la Lega Nord con il 6,6 per cento (5.919 voti), Forza Italia con il 3,9 per cento (3.490 voti) e Fratelli d’Italia – Alleanza Nazionale con il 2,1 (1888 voti).
Invece, in questa ultima tornata elettorale fra le sette liste a sostegno della candidatura di Peghin quella più votata risulta Fratelli d’Italia con l’8,2 per cento (6420 voti), seguita dalla lista Francesco Peghin Sindaco con il 7,8 per cento (6.065 voti), dalla Lega Salvini con il 7,3 per cento (5.704 voti), Coraggio Italia con il 4,4 per cento (3.392 voti) e Forza Italia – Unione di Centro con il 3,2 per cento (2486 voti).
Giordani ha potuto avvalersi del consenso sedimentato mediante l’azione di governo della sua sindacatura e corroborato dal suo operato durante i mesi drammatici della pandemia Covid – 19.
La sua campagna elettorale ha puntato molto sulla continuità istituzionale: non si è presentato solo come un imprenditore “prestato alla politica”, l’ex presidente del Padova Calcio (anche se i colori della squadra erano costantemente richiamati nella sua comunicazione) come aveva fatto cinque anni fa, ma ha puntato sulla continuità amministrativa. Anche gli slogan scelti erano orientati in questa direzione: “il Sindaco dei padovani”, “Insieme siamo Padova”.
Cosa resta, quindi, al centrosinistra veneto dopo questa tornata delle amministrative? Oltre alla soddisfazione per la riconferma padovana e l’insperato successo veronese, resta la necessità dover proseguire la “lunga marcia” per poter essere competitivi anche nei centri più piccoli del Veneto diffuso e la crescita di una classe dirigente locale nella quale, sia a Padova sia a Verona, sono stati candidati ed eletti con molte preferenze elementi giovani. I prossimi anni ci diranno se da questi elementi potrà nascere un’alternativa competitiva a livello regionale.
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