Se volessi raccontarvi una polemica che riguarda qualche influencer e le sue malefatte, o qualche attivista digitale e le sue malefatte, avrei l’imbarazzo della scelta. Ma per quanto ci piacciano gli aneddoti, talvolta è utile uscire dal racconto specifico e accusatorio e osservare i meccanismi generali
Se volessi raccontarvi una polemica che riguarda qualche influencer e le sue malefatte, o qualche attivista digitale e le sue malefatte, avrei l’imbarazzo della scelta. Ma per quanto ci piacciano gli aneddoti, talvolta è utile uscire dal racconto specifico e accusatorio e osservare i meccanismi generali.
Due ruoli
Consideriamo due donne, due tipi umani, due ruoli che ci sono famigliari. La prima è un’attivista, la seconda è un’influencer. L’attivista ha come missione la riuscita di una campagna per il cambiamento politico e sociale. L’attivismo, infatti, può avere diverse definizioni, ma contiene il concetto di cambiamento. Senza cambiamento, non c’è attivismo.
L’influencer, invece, nella definizione più diffusa è una persona che ha accumulato un largo seguito sui social grazie al racconto visuale e scritto della propria vita (o stile di vita), e usa questo seguito per monetizzare la propria capacità di influenzare il pubblico attraverso varie iniziative di marketing.
Se al centro dell’attivismo c’è il cambiamento, al centro dell’attività di influencer c’è la monetizzazione. Si potrebbe dire che anche l’influencer miri al cambiamento, inteso come capacità di indirizzare le scelte altrui. Ma questo cambiamento non è l’obiettivo finale. L’obiettivo finale è la monetizzazione.
Monetizzare significa trasformare una situazione o un oggetto in soldi. Lo sappiamo, e lo consideriamo un meccanismo facile da capire. Monetizzare ha molte implicazioni: se una cosa è monetizzabile, tanto per cominciare, il suo valore diventa misurabile, perlomeno in soldi, in modo esatto.
La perfetta misurabilità del denaro è il motivo principale del successo del denaro come dispositivo, e la possibilità di valutazione delle cose grazie a quel numero chiamato denaro è un pilastro delle economie di mercato.
Come un’ostrica
La perfetta misurabilità è anche la ragione per cui i meccanismi di mercato sono così pervasivi e di successo. C’è qualcosa di travolgente nel poter mettere in ordine le cose dalla più piccola alla più grande, dalla meno rilevante alla più rilevante. Nel poterlo fare in maniera istantanea e senza bisogno di disputa. Ovviamente emergono tutte le considerazioni etiche del caso, ma la potenza del sistema rimane. La misurabilità oggi può anche slegarsi dal rapporto diretto con i soldi. Possiamo pure essere individui superiori al denaro (pensatevi ereditieri e filantropi), e tuttavia trovarci estremamente implicati nella misurabilità.
Tutto parte dall’idea di successo, inteso nella sua accezione più semplice: il successo come “buona riuscita”, come “esito favorevole”. O stiamo fermi e non facciamo assolutamente nulla, oppure nel momento in cui decidiamo di avere dei progetti incapperemo nel concetto di successo.
Come facciamo a stabilire se quello che stiamo facendo ha successo? Dobbiamo in qualche modo valutare il suo impatto. Non se ne esce. Per valutarlo effettueremo qualche misurazione. Produrremo dei numeri. Entreremo a far parte di qualche classifica: dal piccolo al grande. Oggi questo è un problema sentito, con cui tutti hanno a che fare. Per esempio perché la maggioranza delle persone usa i social, e i social sono fondati sulla misurabilità. Possiamo pensare che i social siano un passatempo, ma è un passatempo fondato sui numeri: i like, le visualizzazioni influenzano quello che vediamo e quello che scegliamo di far vedere. Quasi tutto prima o poi viene sfiorato dal problema della misurabilità e del successo, e i buoni propositi non fanno eccezione. E l’attivismo digitale, dunque, non fa eccezione. Si verifica un noto cortocircuito: l’attivista per definizione deve sfidare lo status quo, rischiare di essere impopolare, prendersi dei rischi. Deve guardare oltre il guadagno personale, talvolta deve sacrificare persino la propria sicurezza fisica. Ma allora l’attivismo non può essere vittima delle logiche del successo, oggi prepotentemente di mercato, altrimenti si sporca? La risposta è complicata.
Pensate all’ostrica. Sì, quella. Se un granello di sabbia entra nell’ostrica, la reazione dell’ostrica non è quella di espellerlo, ma di trasformarlo piano piano in una perla. Il mercato fa un po’ la stessa cosa. Se arriva un’anima pura, che combatte per degli ideali e non teme di rendersi sgradita, il mercato non la espellerà, ma la trasformerà piano piano in materia che può stare dentro il mercato: lo sprezzo per la sgradevolezza diventerà il tratto che renderà l’attivista potenzialmente popolare. Il suo rifiuto per le logiche del successo potrà essere il segreto del suo successo. Da questa capacità trasformativa del mercato non si scappa.
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