La brillante offensiva ucraina in territorio russo di questi giorni ha fatto piazza pulita di un refrain ossessivo e risibile che è risuonato per mesi e mesi. E cioè che l’Europa sarebbe un agnello sacrificale prono ai famelici appetiti dell’“orso russo” perché poco e male armata e quindi incapace, per non dire indisponibile, a difendersi.

Questa impostazione del rapporto Europa-Russia ha portato a una serie di scelte non lungimiranti. La prima delle quali, è una corsa agli armamenti mai vista prima. Come se i 27 paesi, più la Gran Bretagna, non spendessero già per la loro difesa almeno tre volte più della Russia e siano secondi solo agli Stati Uniti, e, in più, non disponessero di ogni tipo d’arma in gran quantità, ben oltre il potenziale russo.

Il problema della difesa europea non è comunque la sua dimensione, quanto la frammentazione: si calcolano quasi 200 sistemi d’arma diversi che difficilmente si integrano. Di conseguenza, non esiste alcun esercito comune pronto a schierarsi per proteggere i sacri confini della patria europea.

La resistenza ucraina

Tuttavia l’Ucraina ha dimostrato che ogni paese sottoposto a una sfida esistenziale trova le risorse per difendersi. Nonostante gli aiuti occidentali già arrivati a Kiev prima del 2022, la gran parte dell’esercito di Volodymyr Zelensky disponeva di materiale vetusto, di epoca sovietica.

Eppure è riuscito ad arginare l’avanzata dei russi, e poi a lanciare in autunno una controffensiva con cui ha recuperato parte dei territori in mano nemica; e ora, grazie al corposo rifornimento occidentale, ha ripreso l’iniziativa assestando un colpo devastante ai russi, quantomeno sul piano simbolico.

Ciò dimostra che anche un piccolo paese di 43 milioni di persone (censimento 2021) può fermare l’esercito di un paese grande il triplo,145 milioni di persone, e persino metterlo in difficoltà in combattimenti con armi convenzionali.

E se c’è riuscita l’Ucraina con questa popolazione e questi armamenti, che senso ha tremare come foglie di fronte all’ipotesi di un conflitto armato con Vladimir Putin. Gli 85 milioni di tedeschi, i 35 milioni di polacchi, più tutti gli altri, non avrebbero forse la massa d’urto e gli strumenti per contrapporsi? E quando mai la Russia disporrebbe di uomini a sufficienza da dispiegare su un fronte che andrebbe oltre la celebre cortina di ferro, da Stettino al Mar Nero questa volta, un fronte di quasi duemila chilometri? Con quali forze se riesce appena a reggere su alcune centinaia di chilometri a ridosso dell’Ucraina?

Il ruolo della Nato

Lo scopo politico-ideologico di questa narrazione terrorizzante sulla debolezza europea è evidente: stringere i bulloni dell’alleanza atlantica e, come effetto collaterale, vanificare l’ipotesi di una difesa comune europea con un buon grado di autonomia strategica.

Ovviamente la Nato è il cardine della difesa del nostro continente, ed è vergognoso che solo pochissimi paesi abbiamo ottemperato all’accordo di destinare il 2 per cento del Pil alla difesa (detto en passant, per ironia della sorte è stato proprio il governo presieduto da Giuseppe Conte ad avviare questo percorso con il primo, forte incremento della spesa militare dopo molti decenni di decrescita).

Ma l’alleanza rimane sbilenca se la gamba europea, a causa dell’enfatizzazione del pericolo russo, non cresce bensì si dissangua per acquistare in tutta fretta i sistemi d’arma laddove sono disponibili. E inevitabilmente la maggior parte viene dagli Stati Uniti, l’unica nazione in grado di provvedere in tempi rapidi all’ammodernamento dei nostri eserciti. Gli errori, la vista corta, le gelosie nazionali di decenni hanno impedito di creare una industria degli armamenti su scala continentale – e siamo ancora ben lontani da questo obiettivo visti i consorzi sghembi che si costituiscono anche con paesi extra Ue. Benché l’autonomia dell’industria bellica europea non potesse piacere oltre oceano, la responsabilità di quanto accaduto ricade tutta su leadership nazionali inette e sprovvedute.

E si dimostrano tali una volta di più perché non si attivano nemmeno sul versante della pace. Non una voce, un gesto, una iniziativa per arrestare la mattanza sulla faglia del Donbass. Succubi dell’altra narrazione tossica – che la fine di un conflitto implichi sic et simpliciter il riconoscimento dello status quo – ogni ipotesi di trattativa è bollata come un tradimento, una nuova Monaco. Invece i negoziati servono proprio per sedare e sanare le ferite tra i popoli. L’unica altra alternativa è la resa senza condizioni di una delle due parti: il vae victis al nemico sconfitto e ridotto in catene. Chi pensa a questo esito del conflitto russo-ucraino merita il titolo di dottor Stranamore.

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