Il mese più caldo è sempre stato foriero di cattive notizie per Mosca, fin dai tempi di Gorbačëv. Ma la strategia di Zelensky, efficace per il consenso interno, non scalfisce il potere dello zar
Come abbiamo scritto diverse volte e, talvolta anticipato, in questi tre anni di guerra in Ucraina, il mese di agosto è sempre foriero di situazioni drammatiche nella storia della Russia. Basti pensare al putsch di agosto contro Michail Gorbačëv , che si trovava in Crimea nel 1991 e che ha segnato l’epilogo dell’Unione Sovietica, alla crisi finanziaria del 1998, all’inizio della seconda guerra cecena nel 1999, a diversi attacchi terroristici tra il 1999 e il 2000, e, più recentemente, nella Federazione russa guidata da Vladimir Putin, alla guerra dei Cinque giorni in Georgia nel 2008, all’avvelenamento del dissidente Aleksej Navalnyj nel 2020 e alla morte di Evgenij Prigožin nel 2023.
Il mese delle "sorprese”
Ed ecco che nel 2024, un altro sorprendente evento si è puntualmente manifestato: l’offensiva ucraina nel territorio russo, avvenuta lo scorso 6 agosto nella regione di Kursk. In questo caso, ci troviamo dinanzi anche ad una forte componente simbolica che ritroviamo nelle parole del presidente ucraino Volodomyr Zelensky: «L’era di Putin è iniziata con il sommergibile K-141 Kursk», tra i più moderni della Marina russa, che si inabissa a causa di due esplosioni durante un'esercitazione nel Mare di Barents il 12 agosto del 2000, provocando la morte di 118 uomini, e «finirà con l’invasione nel territorio di Kursk».
Zelensky ha ribadito che la guerra iniziata dal Cremlino in Ucraina si trova ora in territorio russo, «a casa di Putin», rivendicando il successo dell’operazione mantenuta segreta sino all’ultimo con un effetto certamente galvanizzante non solo per l’esercito ucraino, ma anche per quella parte della popolazione che, negli ultimi sondaggi locali, ha dimostrato una certa stanchezza nel sostegno alla strategia del presidente ucraino e una maggiore propensione verso una soluzione diplomatica.
Nei media e nei governi occidentali, la capacità di poche migliaia di ucraini di conquistare oltre 1000 km2 di territorio, sorprendendo il nemico russo, ha generato sentimenti di incredulità e, al contempo, di grande soddisfazione per l’ulteriore umiliazione che il capo del Cremlino ha dovuto subire da un paese che è stato invaso, ma, al netto dell’inferiorità numerica dell’esercito e delle armi a disposizioni, ha accumulato diverse vittorie tattiche in Crimea e ora anche nel territorio russo.
Questa strategia ucraina, sinora molto efficace per le reazioni che cerca di provocare nel proprio paese in termini di resistenza, meno sul piano della destabilizzazione politica della Federazione russa, ci riporta, comunque, ad una questione che da sempre diversi analisti e politici hanno messo in luce dal 24 febbraio 2022: cosa sarebbe successo se nei primi mesi dell’invasione russa l’Ucraina avesse ricevuto armi più sofisticate per imprimere una sconfitta ad un esercito russo abbandonato al proprio destino, con evidenti lacune sul piano militare?
Con i “se” e i “ma” a posteriori, come ben sappiamo, non si fermano le guerre e diverse sono le variabili in gioco che hanno indotto gli alleati occidentali a muoversi con estrema cautela anche dinanzi ad un Orso umiliato e ferito.
Il timore di un’escalation tra la Nato e la Russia, il ricorso all’arma nucleare e l’avvio di una Terza Guerra mondiale hanno probabilmente condizionato la tempistica, la quantità e la volontà di consegnare al governo ucraino tutto ciò che era necessario per cercare di sconfiggere da subito l’invasore russo. Ha prevalso, come era emerso dalle dichiarazioni del segretario di Stato, Anthony Blinken e di quello della difesa, Lloyd Austin, nel marzo 2022, la volontà di sostenere la difesa ucraina, dopo che l’esercito ucraino aveva dimostrato un’inaspettata resilienza, e di destabilizzare politicamente e, soprattutto economicamente, la Russia anche attraverso le sanzioni in previsioni di un eventuale disgregazione territoriale, recentemente auspicata anche dall’Alto rappresentante per la politica estera e di scurezza europea, Kaja Kallas.
La strategia di Zelensky
In questo contesto, il presidente ucraino si è inserito sinora con abilità e arguzia attraverso una serie di richieste sul piano militare, ma anche con azioni dimostrative efficaci, come l’attacco al ponte in Crimea o alla marina militare russa nel Mar Nero. Allo stesso modo, con l’attacco a Kursk, Zelensky ha mosso un’altra pedina che non gli consentirà lo scacco matto (la vittoria finale), ma perlomeno la possibilità di ottenere un “vantaggio competitivo” se e quando si giungerà alle negoziazioni con il Cremlino.
Su questo aspetto, vi è una condivisone di massima tra gli esperti americani che trova un’ulteriore conferma nelle parole delle autorità ucraine e nelle dichiarazioni del presidente Putin che ha spiegato l'offensiva ucraina in termini di «migliorare la sua (Zelensky) posizione in vista di futuri negoziati», «con l'aiuto dell'Occidente», che «fa la guerra alla Russia per mano ucraina», cercando di «seminare discordia» e «distruggere la coesione» della società russa.
Parole del capo del Cremlino che ormai costituiscono il solito “ritornello” da offrire alla popolazione russa per deresponsabilizzare i propri fallimenti tattici e presentare gli ucraini come i veri «traditori» e «terroristi» che minano la stabilità della grande potenza russa e «giustificano» l’aggressione di tre anni fa.
Le contromosse di Putin
Se, da un lato, abbiamo assistito ad un Consiglio di Sicurezza nel quale Putin era visibilmente irritato e nervoso, come il tono della voce “stizzito” nei confronti dei presenti lasciava trapelare, dall’altro lato è opportuno segnalare, ancora una volta, che sarebbe fuorviante ritenere che Putin non abbia la situazione sotto controllo. Quanto è successo può costituire l’ennesima dimostrazione al capo del Cremlino che la gerarchia militare russa tende a nascondere i propri fallimenti e incapacità.
Da qui, la decisione di Putin di nominare il suo fedele assistente militare, il generale Aleksej Djumin, come coordinatore delle operazioni militari russe nella regione di Kursk per monitorare attentamente l’andamento dello scontro tra i due eserciti.
Altra questione è con quali messaggi la propaganda diffonde il “caso Kursk” alla popolazione russa. Sinora il Cremlino ha dimostrato “trasparenza” nel diffondere le immagini e i contenuti della riunione con i vertici militari, ha ribadito che è l’Ucraina che non vuole il negoziato e rifiuta il progetto di pace russo e, ancora una volta, scarica la responsabilità di qualsiasi incompetenza al governatore regionale, al generale Valerij Gerasimov e all’apparato burocratico statale.
Si tratta della strategia putiniana che ormai ben conosciamo: accusa all’Occidente, risposta militare sul territorio ucraino, propaganda, guerra di logoramento, ricorso al sostegno di paesi “amici” per evitare una nuova mobilitazione che potrebbe creare, invece, brutte sorprese al
Cremlino. Nel frattempo, la guerra nel Donbas continua con piccoli, ma significativi successi per i russi.
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