- Il reddito minimo garantito non é semplicemente un sussidio, ma una questione che riguarda la dignità del lavoro e la liberta’ della persona.
- Chi vede questa misura come un regalo ai fannulloni e agli imbroglioni, e come diseducativa, diffonde non solo una retorica cinica, ma prescinde dall’interesse per queste misure in tutto il mondo, e dall’evidenza disponibile sui loro effetti.
- Nei casi in cui si sono raccolte informazioni anche su altri altri effetti, si é riscontrato, ad esempio, un aumento del numero di diplomati alle scuole superiori e un minore abbandono scolastico.
«Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l’amare il proprio lavoro […] costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono».
Mi sono tornate in mente queste frasi di Primo Levi, nel suo romanzo La Chiave a Stella, seguendo il dibattito sul Reddito di Cittadinanza che si è riacceso nelle ultime settimane. Il reddito minimo garantito non è semplicemente un sussidio, ma una questione che riguarda la dignità del lavoro e la libertà della persona.
Abbiamo sentito dire invece che un reddito minimo garantito è roba per fannulloni; che chi lo riceve dovrebbe fare (gratis) lo spazzino di quartiere per ripagare la gentile concessione; che la garanzia di un reddito minimo non solo non invoglia le persone a lavorare, ma è anche diseducativa, perché ognuno ce la deve fare con le proprie forze.
Il lavoro come punizione
Si fa quindi strada una retorica “insidiosa” secondo cui trattare dignitosamente i lavoratori (ad esempio con un salario superiore al minimo garantito, e con condizioni dignitose) non è una priorità; ma anche una retorica “stupida” che riduce il lavoro a una mera attivita’ di scambio, equivalente ala compravendita di un bene materiale. C’è, in questa propaganda, la denigrazione del lavoro, specie di quello più umile con il quale si vuole in qualche modo punire chi, in condizioni di povertà, riceva un sostegno.
Ma emerge anche anche l’ignoranza verso l’attenzione che forme di reddito universale (per tutti, indipendentemente dalle loro condizioni) o minimo garantito (per chi non raggiunga un certo livello di reddito) hanno ricevuto in tutto il mondo negli ultimi cinquant’anni.
Uno dei primi esperimenti risale agli anni Settanta, quando a Dauphin, nella provincia di Manitoba in Canada, le autorità locali insieme ad alcuni economisti assegnarono un reddito annuo di 16.000 dollari a diverse famiglie, per un totale di circa duemila persone.
Sempre in Canada, un secondo intervento è stato fra il 2017 e 2018, ad opera dell’amministrazione progressista dell’Ontario, poi interrotto prematuramente dal sopravvenuto governo conservatore. La città di Stockton, in California, ha introdotto un reddito di base universale nel 2019. L’associazione “Mayors for a Guaranteed income”, composta dai sindaci di numerose grandi città americane, promuove esperienze simili a quella di Stockton con la distribuzione di un reddito minimo garantito.
Col patrocinio di Y-Combinator, famoso “acceleratore” di startup tecnologiche, diversi ricercatori stanno conducendo un esperimento di reddito di base universale per tremila individui in California. E molte municipalità in vari Paesi (Spagna, Scozia, Paesi Bassi) hanno introdotto o stanno programmando interventi simili, almeno come “progetti pilota” per valutarne scientificamente gli effetti, come in un test clinico controllato.
Un altro progetto pilota in Finlandia, come nel caso dell’Ontario, non è stato rinnovato dal nuovo governo conservatore. Economisti e psicologi negli Stati Uniti e in Europa, in collaborazione con Ong in Africa, hanno introdotto e valutato gli effetti di breve e medio periodo di programmi di trasferimento di denaro a famiglie in vari villaggi, senza nessuna condizione.
Lo stato dell’Alaska, infine, ha distribuito ogni anno dal 1982 un assegno (di ammontare variabile) a ogni suo cittadino, come forma di condivisione dei ricavi dall’estrazione ed esportazione di materie prime.
Si tratta molto spesso di interventi su scala ridotta, e in realtà tra loro molto diverse. Ciononostante, ci sono aspetti comuni tra i risultati finora disponibili.
Cosa abbiamo imparato
I temuti effetti negativi sull’offerta di lavoro (o la motivazione a lavorare) in genere non si sono manifestati. Le ore di lavoro sono rimaste stabili sia fra coloro che hanno ricevuto lo strumento di sostegno, sia per i gruppi di “controllo”. In alcuni casi, gli individui hanno privilegiato lavori meno precari e meglio remunerati. Esiste un’ampia letteratura che mostra come la motivazione al lavoro non è basata esclusivamente su una logica di scambio fra tempo e remunerazione monetaria. Il lavoro è anche fonte di senso, ed è un’occasione di aggregazione sociale e condivisione.
Le persone, quindi, attribuiscono al lavoro non solo costi, ma anche benefici oltre a quelli pecuniari, e questo può portarli a preferire avere un impiego invece che “stare sul divano” anche se si riceve un sussidio. Numerosi studi quindi confermano le parole di Primo Levi: «L’amore o rispettivamente l’odio per l’opera sono un dato interno, originario, che dipende molto dalla storia dell’individuo, e meno di quanto si creda dalle strutture produttive entro cui il lavoro si svolge». Con la La Chiave a Stella, peraltro, Primo Levi ha volute esprimere anche il suo dolore per l’uso della frase “Il Lavoro Rende Liberi” sui cancelli dei lager nazisti.
La qualità della vita migliora
Nei casi in cui si sono raccolte informazioni anche su altri altri effetti, si é riscontrato, ad esempio, un aumento del numero di diplomati alle scuole superiori e un minore abbandono scolastico. Quindi, magari a costo di qualche ora in meno di lavoro, alcuni beneficiari hanno impegnato il loro tempo completando un ciclo di studi, così aumentando il loro “capitale umano”, che nel più lungo periodo potrebbe renderli più produttivi.
Inoltre, si sono registrati miglioramenti in ambito socio-sanitario: riduzione dell’incidenza delle malattie mentali come la depressione, del consumo di alcool (e, a questo collegata, degli incidenti stradali e di certi crimini), e dei ricoveri ospedalieri, e un un maggior ricorso a visite mediche di controllo e prevenzione, come la cura dei denti.
Un altro timore paternalista è che i percettori di una forma di reddito garantito sprechino soldi in spese inutili e dannose come alcol, fumo, gioco d’azzardo e cibi non salutari. Oltre all’evidenza sulla riduzione dell’alcolismo, sappiamo oggi che, per la maggior parte, i beneficiari spendono il sussidio in beni di consumo (soprattutto cibo), in bollette arretrate, e per visite mediche rimandate per mancanza di disponibilità economiche. In alcuni contesti, come in villaggi africani, una parte dell’ammontare è andato in investimenti, per esempio l’acquisto di animali da allevamento e da lavoro, o di tetti più resistenti per le case.
Queste analisi riguardano soprattutto effetti di breve periodo, e sono su scala ridotta in aree isolate rispetto al resto del contesto circostante. Ciò rende difficile anticipare gli effetti più duraturi e generali di questi diversi interventi. Ma l’evidenza disponibile sull’aumento dei consumi, del livello educativo e delle condizioni di salute della popolazione, fa pensare che gli effetti di più lungo termini possano essere ancora più positivi anche su variabili più strettamente economiche, come ad esempio l’occupazione.
Il reddito minimo di destra
L’economista conservatore (e premio Nobel) Milton Friedman propose negli anni Sessanta un’imposta “negativa” sul reddito, ovvero un sussidio parziale a chi non raggiungesse un reddito minimo annuale; alcuni conservatori italiani hanno riesumato l’idea nei giorni scorsi. Tuttavia, la proposta di Friedman comprendeva anche la cancellazione di altre forme di sostegno ai più deboli, e non vedeva l’imposta negativa come uno strumento aggiuntivo; l’obiettivo era piuttosto limitare le politiche pubbliche di welfare, e lasciare che i più svantaggiati se la vedessero da soli (sul mercato) col sussidio ottenuto.
Tra i proponenti di forme di reddito universale o minimo garantito, poi, ci sono anche grandi imprenditori, come Mark Zuckerberg (Facebook) e Elon Musk (Tesla). Magari davvero ispirati da un desiderio di giustizia sociale in nome della dignità delle persone, ma forse per loro tale misura significa anche per loro significhi piuttosto sentirsi più liberi di sostituire lavoratori con macchine senza perdere consumatori.
L’auspicio è invece che le forze progressiste sappiano andare oltre, e nel proporre o migliorare diversi strumenti di lotta alla povertà e promozione del lavoro, sappiano recuperare e valorizzare la centralità della persona, e del lavoro non solo come fattore di produzione, ma come fonte di dignità e motore della giustizia sociale. E che nel battersi per un lavoro buono e dignitosamente pagato, siano in grado di favorire un benessere diffuso.
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