- Andrea Enria, a capo della vigilanza dela Bce, invita alla prudenza. Per una banca esposta al rischio di "incagli" significa riconoscere subito le difficoltà del cliente e accantonare riserve per fronteggiare le perdite sui crediti ammalorati.
- Le banche devono fare quello che non hanno fatto dopo la crisi iniziata nel 2007-2008: hanno buttato la polvere sotto il tappeto e alla fine ne sono saltate un bel po'.
- Enria ha paura che ne salti qualcun'altra per il Covid, e per questo ha vietato di distribuire dividendi per far affluire i profitti nelle riserve.
Le banche italiane mordono il freno e a dispetto dell'emergenza Covid vogliono ricominciare a distribuire i dividendi agli azionisti. Francesco Profumo, presidente delle Fondazioni bancarie, le azioniste delle banche, dice che il blocco dei dividendi «rischia di mettere seriamente in difficoltà molte Fondazioni».
Il governatore della Banca d'Italia Ignazio Visco risponde con parole arcane il cui senso è traducibile in «datevi una calmata». Il ministro dell'Economia Roberto Gualtieri si allinea a Visco. E sulla tradizionale messa cantata della Giornata mondiale del risparmio, il telegramma del presidente della Repubblica piomba come il saluto di un marziano.
Sergio Mattarella avverte il "dream team" di classe dirigente che si alterna al microfono di non dimenticare che la pandemia si abbatte su un sistema economico segnato da "un inaccettabile aumento delle diseguaglianze". Tema che tutti ignorano. Insomma, grande è la confusione sotto il cielo, anche perché l'equazione da risolvere è assai complessa.
Dice Visco: «Il rischio che la propensione al risparmio rimanga su livelli elevati anche nei prossimi trimestri, frenando la ripresa, appare concreto».
Tutti hanno paura e preferiscono non spendere. Nel mese di settembre le famiglie e le imprese avevano depositati in banca 1.682 miliardi, quanto il Pil italiano di quest'anno, 125 miliardi in più dei 1.557 di un anno prima.
La paura di spendere azzoppa il nostro tipo di economia: al ristorante non vai perché li hanno chiusi, ma la macchina non la cambi perché «è meglio aspettare».
I ricchi e le imprese hanno paura come i poveri, nota in sostanza il governatore, e sono loro ad avere più margini per ridurre le spese, così la prudenza diventa una bomba.
I 125 miliardi messi via equivalgono al maggior deficit statale con cui il governo Conte ha sostenuto l'economia colpita dalla pandemia. E' come un lavandino senza tappo: i 120-130 miliardi di liquidità immessi nel sistema dal governo Conte sono scolati direttamente nei conti correnti.
Le banche questi 125 miliardi dovrebbero prestarli a famiglie e imprese. Ma si dicono frenate dalle regole della Banca centrale europea (di cui la Banca d'Italia è ormai una filiale).
Dice Antonio Patuelli, presidente dell'Associazione bancaria italiana (Abi): «Occorre rendere flessibili anche normative pensate e decise ben prima della pandemia, che tendono a "irrigidire l’erogazione del credito».
Visco risponde alla sua maniera che la medicina è amara ma fa bene e Patuelli e i suoi colleghi la devono trangugiare: «Si tratta di obblighi volti a garantire stabilità ed efficacia dell’intermediazione creditizia». Infatti la crisi economica conseguente alla pandemia rischia di far esplodere le insolvenze di famiglie e imprese indebitate con le banche. Ancora Visco: «Nel 2020 il deterioramento della loro situazione finanziaria determinerà un netto peggioramento della probabilità di insolvenza».
I richiami della Bce alla prudenza
Da tempo l'italiano Andrea Enria, capo del Ssm (Single supervisory mechanism, la vigilanza Bce) invita alla prudenza. Per una banca esposta al rischio di "incagli" (in gergo Utp, unlikely to pay, tradotto dall'inglese «è difficile che paghi») significa riconoscere subito le difficoltà del cliente e accantonare riserve per fronteggiare le perdite sui crediti ammalorati.
Quello che le banche italiane non hanno fatto dopo la crisi iniziata nel 2007-2008: hanno buttato la polvere sotto il tappeto e alla fine ne sono saltate un bel po'.
Enria ha paura che ne salti qualcun'altra per il Covid, e per questo ha vietato di distribuire dividendi per far affluire i profitti nelle riserve. Per gli azionisti non è un danno, perché l'aumento delle riserve accresce il valore delle azioni. Ma Patuelli è impaziente: «Le banche sono imprese che debbono poter tornare ad avere rapporti ordinari con i propri azionisti: debbono poter distribuire dividendi».
A sentire Visco i banchieri italiani la stanno prendendo un po' allegra. Dice il governatore: «Al termine dell’emergenza le banche dovranno farsi trovare preparate per finanziare la ripresa; va quindi mantenuta particolare attenzione tanto alla loro capacità patrimoniale quanto alla qualità del credito erogato». Tradotto: scordatevi i dividendi e state attenti a come prestate i soldi, perché dovete arrivare toniche all'appuntamento con la ripartenza dell'economia.
Visco sottintende che sono finiti i tempi in cui la Banca d'Italia poteva suggerire agli istituti di credito di consolidare il patrimonio - eroso dai crediti ammalorati concessi agli amici e agli amici dei politici - vendendo azioni bacate o obbligazioni subordinate alle vecchiette. Adesso devono fare da sé, cioè, dice, devono «sostenere il proprio livello di patrimonializzazione attraverso la redditività». Quindi, fieno in cascina e niente dividendi.
Anche perché, avverte, è vero che negli ultimi anni la solidità patrimoniale delle banche è molto migliorata, anche se in modo «fortemente eterogeneo» (qualcuna dunque salterà), ma «la crisi ha iniziato a riflettersi sul rendimento del capitale e delle riserve, notevolmente diminuito nel primo semestre a causa soprattutto delle maggiori rettifiche su crediti». Speriamo che vada tutto bene.
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