Nella mente del tycoon la premier è uno di quei politici europei da mettere in difficoltà per regolare i conti. Lo spin doctor Steve Bannon le ha dato in maniera quasi esplicita della traditrice: i cambi di leadership repentina a Washington determinano spesso ripercussioni sui governi europei, con rimpasti o cadute. Non è un caso che Salvini si stia già accreditando come alleato leale
Negli angoli bui della politica si verificano le suggestioni più impensabili come, ad esempio, che a Giorgia Meloni convenga sperare nella rielezione di Joe Biden alle presidenziali 2024. Già perché con il presidente democratico Meloni ha stretto un ottimo rapporto, con Biden si viaggia nella continuità, mentre Trump rappresenta nuove incognite e rischi. L’eventuale secondo Trump è un salto nel buio più del primo: ha trasformato il partito repubblicano in un partito non più conservatore ma populista e isolazionista; intende ridurre le spese della NATO e costringere gli europei a investire in difesa; con Putin mira ad un accordo di pace dai contorni ad oggi sconosciuti e imprevedibili; minaccia nuovi dazi anche sui prodotti manifatturieri europei.
Come se questo quadro poco rassicurante non bastasse, Trump ha fama di essere uomo vendicativo in patria e fuori. Un elemento che aggrava la posizione di Meloni, un’alleata che nella mente di Trump ha scelto di andare d’amore e d’accordo con il democratico Biden e di tradire la rivoluzione populista. Probabilmente la presidente del consiglio italiana è uno di quei politici europei da mettere in difficoltà per regolare i conti. In una intervista di qualche tempo fa lo spin doctor trumpiano Steve Bannon le ha dato in maniera quasi esplicita della traditrice. Non è un caso, infatti, che Salvini abbia già tributato lodi e auspici di vittoria al tycoon proprio per sottolineare chi tra i leader della destra italiana è un autentico trumpiano. È la Lega, nella logica populista, l’alleato leale di Trump. Non sono buone notizie per Meloni poiché i cambi di leadership repentina a Washington spesso determinano ripercussioni sui governi europei, con rimpasti o cadute.
Ma anche l’opposizione cercherà di mettere in difficoltà Meloni se Trump rivincerà. Le si chiederà se è dalla parte dei leader europei o da quella dei repubblicani americani, visto che un tempo avrebbe preferito i secondi ai primi. Le si dirà di scegliere tra la linea di Victor Orban, già allineata a quella di Trump sul piano internazionale, e quella di Macron e Scholz. E per tutti i fattori che abbiamo menzionato, in questo caso sarà difficile per la premier tenere una posizione mediana. Ma al di là del possibile ritorno di Trump, a Palazzo Chigi conviene che si chiedano cosa fare in questi mesi per anticipare lo scenario peggiore.
La prima questione riguarda la spesa militare. Tra guerra in Ucraina e possibile riduzione del budget NATO converrebbe puntare subito e in modo convinto, anche via soluzione europea, all’innalzamento del bilancio tra il 2 e il 3% del Pil. Ciò non significa pensare di inviare truppe in Ucraina, ma lavorare per una politica di sicurezza e deterrenza che oramai appare in ogni caso inevitabile per tutti i paesi europei. Al tempo stesso, nell’eventualità che Trump vari dazi punitivi per i cittadini prodotti europei, servirebbe un piano in grado di sostenere la domanda interna europea derogando a regole di bilancio rigide che non si addicono al mondo di questi ultimi anni. Per giocare d’anticipo su questi temi, e avere qualche peso come Italia, Meloni non potrà esimersi dal portare il suo partito dentro una grande alleanza a Bruxelles. E sperare segretamente che il fantasma di Trump non si materializzi.
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