Lo slittamento di ampie fette della popolazione verso l’astensione e verso la destra, dimostra che non serve un cambio di leadership, ma di paradigma. E per rispondere al crescente bisogno di protezione sociale bisognerebbe ripartire dal potenziale rivoluzionario della tradizione
Le rilevazioni di voto sono piuttosto allineate a confermare il consolidamento del consenso a FdI e le difficoltà per le opposizioni, con la parziale eccezione del partito guidato da Giuseppe Conte. Di fronte a tale quadro sconfortante, a sinistra, si punta come al solito il dito sulla malcapitata leadership di turno del Pd, sulle divisioni nel campo, sulle modalità di fare opposizione. Purtroppo, temo che il problema sia di ordine diverso. Per la rianimazione dei “nostri”, si dovrebbero indagare le ragioni di fondo che portano all’allargamento delle periferie sociali e al loro sempre più ampio orientamento verso l’astensione o le destre nazionaliste, non soltanto in Italia, ma ovunque nelle cosiddette “democrazie mature”.
In sintesi, per risalire la china, è decisivo un cambio di paradigma, finanche di visione antropologica, piuttosto che l’ennesimo cambio di segretario, un altro cartello elettorale appiccicato con lo scotch o una geniale operazione di marketing politico.
La riflessione si pone in termini differenziati per M5S e per gli altri “progressisti”. Il primo dovrebbe portare a termine la costruzione, tutt’altro che banale, di una coerente cultura politica. Ma è ben posizionato in termini di insediamento sociale: fasce di popolo in difficoltà e classi medie spiaggiate. Gli altri hanno una cultura politica strutturata, ma intorno all’impianto liberale della “Terza via”, in sintonia esclusiva con gli interessi e i desideri di larga parte della borghesia intellettuale, componente fondamentale ma largamente insufficiente.
Sarebbe utile per entrambi provare a condividere l’analisi del passaggio in corso. Siamo in un’altra stagione, segnata da insostenibilità economica, climatica, democratica e spirituale della regolazione liberista dei movimenti di capitali, merci, servizi e persone, in radicale contraddizione con la regolazione sociale prescritta dalla nostra e altre Carte fondative. Non soltanto nell’astratta globalizzazione, ma nella concreta quotidianità del mercato unico europeo.
La regressione delle condizioni del lavoro e le agghiaccianti disuguaglianze non sono frutto di una sfortunata congiuntura astrale. Sono conseguenza programmata di una visione della concorrenza e delle libertà economiche slegate da finalità sociali. L’insicurezza è diventata insopportabile dimensione esistenziale. Il “progresso”, dettato dal primato assoluto del mercato e dell’innovazione tecnologica senza argini etici e politici, lacera legami e consuetudini preziose. È temuto come minaccia economica e fattore di spaesamento culturale. Alimenta, quindi, un’irrefrenabile ansia di protezione sociale e identitaria.
In tale quadro, per riconquistare le fasce di popolo abbandonate, è decisivo riconoscerne le domande scomode e politicamente scorrette, piuttosto che attaccare, spesso con suprematismo morale e intellettuale, chi offre risposte regressive, ma sa abilmente raccoglierle. Si potrebbe incominciare dalla comprensione della rilevanza dei luoghi comunitari – famiglia, Patria, Nazione – da declinare nel senso scolpito nella nostra Costituzione. Insieme, si dovrebbe cogliere il potenziale rivoluzionario della tradizione.
Prendo a prestito le invocazioni di due giganti del pensiero critico, entrambi fino alla loro scomparsa pilastri della sinistra, ex parlamentari del Pd. Scrive Franco Cassano in “Pensiero meridiano” (1996): “La sinistra dovrebbe recuperare la capacità di resistenza del sacro senza farsi trascinare nell’irresistibile tendenza di quest’ultimo a diventare potere, ortodossia, disciplinamento e repressione”.
Sottolinea Mario Tronti nella postfazione al libro del sottoscritto (2022): “La tradizione, ben compresa, ben usata, è una grande potenza di trasformazione dell’esistente. La tradizione è popolo e il popolo è tradizione. Se non ti radichi lì dentro, non c’è nessuna possibilità di cambiare il fondo delle cose. Non puoi vendere agli ultimi della società i nuovissimi prodotti postmoderni, si chiamino essi anche diritti. Non vogliono comprarli. Perché non li sentono propri… Se la Sinistra non toglie voti, quei voti, alla destra, mai potrà pensare di arrivare a governare, rimanendo se stessa…”.
Forse, siamo ancora in tempo per ricostruire.
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