Tutta la riforma sposa poi una stessa teoria: se uno non paga è perché non può. È una strana teoria
La presidente Meloni dichiara che non intende disturbare con le tasse i “produttori di ricchezza”, imprese e lavoratori. Ma se davvero volesse trattare questi due soggetti allo stesso modo dovrebbe rivedere profondamente la riforma della riscossione presentata nei giorni scorsi.
Dovrebbe eliminare il sostituto di imposta, il meccanismo attraverso cui ai lavoratori dipendenti (e ai pensionati) le tasse vengono prelevate al momento di corrispondere il salario o lo stipendio. E dovrebbe dire anche a loro: se non puoi pagare, basta che me lo dici, mi fido della tua parola, e ci mettiamo d’accordo per saldare in una decina di anni.
E dovrebbe dire anche a loro: guarda però che se avrai la fortuna che nei prossimi 5 anni il tuo caso non rientri nelle tipologie a cui viene finalizzata la pianificazione della riscossione concordata fra ministero dell’Economia e Agenzia delle entrate-Riscossione (AeR), la tua cartella verrà restituita al mittente e potrai ragionevolmente dormire sonni tranquilli.
Se questa fosse la scelta del governo, e cioè di trattare tutti allo stesso modo, il gettito crollerebbe, e con il gettito crollerebbe tutto quello che con le tasse si finanzia, dal welfare alle infrastrutture, alla difesa, alla giustizia, ecc.
Non ce lo si può permettere e infatti il governo non lo fa. O meglio, lo fa, ma rivolgendosi solo a lavoratori autonomi e imprese.
E questo rende particolarmente odiosa una riforma che approfondisce ancora di più il divario di trattamento già esistente fra chi le tasse le paga, per obbligo o per convinzione, e chi invece non le paga.
La riforma
In dettaglio. La riforma prevede il discarico automatico, e cioè la restituzione, da parte dell’AeR, dell’incarico a riscuotere ricevuto da Comuni, Inps e Agenzia delle entrate delle quote non riscosse, a 5 anni dall’affidamento. Con alcune esclusioni, ad es. delle cartelle per le quali siano in corso procedure esecutive o rateizzazioni.
Ma il discarico non è subordinato al fatto che il tempo trascorso sia stato sfruttato dall’AeR per cercare effettivamente di riscuotere. Avviene anche nel caso in cui l’unica azione compiuta sia stata la notifica della cartella al contribuente. Certo non si formeranno più magazzini di cartelle non riscosse, come quello attuale, inutilmente mantenuto in vita anche nel caso di decesso del contribuente o fallimento dell’impresa.
Questo sarà però il risultato, non di una amministrazione più efficiente, ma di una amministrazione che rinuncia, senza neppure provarci, a incassare una quota rilevante dei suoi crediti certi (quelli non ricompresi nella pianificazione fiscale). Quale altro creditore agirebbe in questo modo?
Una strana teoria
Tutta la riforma sposa poi una stessa teoria. Se uno non paga è perché non può. Strana teoria per un paese con quasi 100 miliardi di evasione ogni anno. Un contribuente che non può pagare dovrebbe prima dichiarare correttamente il dovuto e poi chiedere un piano congruo di rateizzazione.
La riforma prevede il contrario: prima si cerca di sfuggire al proprio dovere fiscale, non dichiarando il giusto, o anche solo non versando il dovuto, poi, se scoperti, si chiede la rateizzazione, ottenendo di distribuire il dovuto fino a 10 anni, sulla base di una mera autodichiarazione, per crediti fino a 120 mila euro.
Una previsione che rafforzerà un fenomeno già sottolineato ampiamente dalla Corte dei Conti: i contribuenti preferiscono non pagare le imposte, o almeno differirne il più possibile il pagamento, ottenendo così dallo Stato un prestito a basso tasso di interesse (quello legale) e a lunghissima scadenza, piuttosto che indebitarsi con le banche, creditori più esigenti sia per tassi d’interesse più elevati sia per le garanzie richieste.
Ma allora - ed è questa la sfida che, come Pd, abbiamo lanciato con emendamenti puntualmente bocciati - perché non subordinare il privilegio delle rateizzazioni al fatto che il fisco utilizzi quel patrimonio informativo di cui, come ci dice il viceministro Leo, dispone per distinguere, all’interno di coloro che le chiedono, quelli che sono davvero in grado di pagare da quelli che invece sono certificati essere in difficoltà, e andare incontro solo a questi ultimi?
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