- Lega e Fratelli d’Italia vincono perché hanno piegato a una agenda di destra il principale strumento di consenso del centrosinistra, cioè le politiche redistributive.
- La ricerca della Fondazione Friederich Ebert Stiftung riassume la sintesi politica che la nuova destra di Meloni propone sotto l’etichetta di “conservatorismo” in una sommatoria di “stalismo + nativismo”.
- Mettere la macchina dello stato (e il debito pubblico) al servizio della protezione di quella che Meloni chiama “la nazione”, non tutta l’Italia e non tutti gli italiani ma solo quelli che rispondono al canone discrezionale di omogeneità che fissano i partiti al potere.
La ricerca viene presentata mercoledì 25 gennaio, alle ore 10.30-12.00, presso la Sala Cristallo, Hotel Nazionale, a Roma
Lega e Fratelli d’Italia vincono perché hanno piegato a una agenda di destra il principale strumento di consenso del centrosinistra, cioè le politiche redistributive. Che usano non per perseguire una riduzione delle disuguaglianze, ma per proteggere il proprio elettorato da un ambiente esterno che inquieta, reso ancora più minaccioso dalle costanti dichiarazioni su migranti e altri pericoli veri o immaginari.
La Fondazione Friederich Ebert Stiftung, la più antica fondazione politica in Germania, presenta oggi il risultato di un progetto di ricerca dal titolo Fratelli d’Italia e Lega – Diversamente populisti a destra? Affidato ai politologi Marco Valbruzzi e Sofia Ventura che aggiunge alcuni elementi davvero originali a un dibattito permanente già affollato, quello sulla natura della nuova destra e sulle ragioni del suo successo.
La conclusione dell’analisi di una inchiesta di opinione tra gli elettori (condotta di Euromedia Research) e di un evidence-based expert survey, cioè una collocazione dei partiti nello spettro politico in base alle dichiarazioni dei leader e alle loro proposte programmatiche, è abbastanza sorprendente: la Lega si distingue da Fratelli d’Italia perché è percepita come più populista, mentre il partito di Giorgia Meloni è visto come prodotto di una destra più definita, ma entrambi competono sullo stesso segmento di elettori al quale propongono politiche redistributive da parte di uno Stato interventista e disposto a spendere sul sociale, ma soltanto a beneficio di alcune categorie (gli elettori di destra) e non di altre (migranti, gruppi sociali e temi di riferimento per il centrosinistra).
Statalismo e nativismo
Valbruzzi e Ventura riassumono la sintesi politica che la nuova destra di Meloni propone sotto l’etichetta di “conservatorismo” in una sommatoria di “stalismo + nativismo”.
Mettere la macchina dello stato (e il debito pubblico) al servizio della protezione di quella che Meloni chiama “la nazione”, non tutta l’Italia e non tutti gli italiani ma solo quelli che rispondono al canone discrezionale di omogeneità che fissano i partiti al potere.
L’analisi delle proposte e delle dichiarazioni di Lega e Fratelli d’Italia colloca i due partiti nello stesso quadrante di valori e proposte politiche: abbastanza di destra in economica (libertà di mercato, welfare contenuto, riduzione di regole e flessibilità del lavoro) e decisamente “nativisti” (nel senso di limitare i privilegi del welfare ad alcuni ed escludere gli altri, migranti e loro figli).
Gli elettori di questi due partiti – campione di 1000 persone, sondate all’indomani delle elezioni di settembre – sono però collocati molto più a sinistra sinistra rispetto ai leader, cioè chiedono più redistribuzione, giustizia sociale, lavoro stabile e intervento dello stato.
L’elettore della Lega è più a sinistra di quello di Fratelli d’Italia, probabilmente perché la Lega prima del partito di Meloni ha intercettato le delusioni e le paure dei ceti impoveriti dalla transizione post-industriale che ha lasciato spiazzati elettori un tempo orientati verso Pci-Ds-Pd.
Il vantaggio competitivo
La combinazione tra interventismo e nativismo offre un formidabile vantaggio competitivo nei confronti del centrosinistra, nello specifico di Pd e Cinque stelle. Sottrae la leva della spesa pubblica alla caratterizzazione politica: la sinistra non può distinguersi se promette politiche che anche la destra sostiene.
Questo interventismo nativista è relativamente compatibile con i vincoli di bilancio e la diffidenza degli elettori di destra per certa spesa pubblica perché si concentra direttamente sui sostenitori di Lega e FdI ma esclude altri: nessuna obiezione agli aiuti sulle bollette, agli assegni familiari, agli sgravi fiscali in deficit, ai bonus di ogni ordine e grado purché non vadano a poveri con il reddito di cittadinanza, immigrati che devono vivere con pochi euro al giorno o assunzioni clientelari e lavoro assistenziale nel mezzogiorno.
La sinistra è spiazzata due volte: per la sua professione di universalismo e promessa di equità che la costringe a estendere diritti e tutele a tutti, anche alle minoranze che godono della minore popolarità, e perché è ancora più sensibile della destra alla compatibilità della politica economica con le indicazioni europee su debito e rispetto della normativa comunitaria.
Il terzo fattore che ha penalizzato il centrosinistra è la natura populista della nuova destra Lega e FdI.
L’aggettivo è oggetto di infiniti dibattiti, la riceva di Valbruzzi e Ventura aggira gli ostacoli perché affida la misura del grado di populismo direttamente agli elettori: il 67 per cento dell’elettorato è fortemente d’accordo o d’accordo con uno slogan vago ma molto populista come “la volontà del popolo dovrebbe essere il principio guida della politica id questo paese”, mentre l’elettorato di Lega e FdI è molto più favorevole, all’81 e all’84 per cento.
Così come si conferma più “nativista”, nel senso che appoggia l’affermazione “chi è nato in Italia dovrebbe avere la priorità nel lavoro rispetto agli immigrati” al 72 e al 74 per cento, contro la media del 50.
Questa attitudine mitiga i timori per le disuguaglianze, che affliggono il 25,9 per cento degli intervistati ma soltanto il 15,3 per cento di quelli che votano Fratelli d’Italia e il 16,7 per cento di quelli che scelgono la Lega.
Gli elettori del Pd si preoccupano delle disuguaglianze al 32 per cento, quelli di +Europa al 40 e quelli di Sinistra e Verdi al 50 (comunque interessante che il partito di +Europa sia, sul tema, a sinistra del Pd, e anche del Movimento Cinque stelle che è il meno sensibile, 31 per cento).
La sintesi di questi dati porta a una conclusione inequivocabile: la destra vince perché riesce a proporre strumenti redistributivi che aiutano alcuni e correggono alcune disuguaglianze, anche se magari lasciano tanti scoperti e aumentano squilibri, ma a spese di una parte di parse che i sostenitori di Lega e FdI sono ben contenti di abbandonare.
Anzi, ne hanno paura e lo considerano un nemico per effetto delle prese di posizione pubbliche dei leader – Meloni, Salvini e gli altri – che sono molto più estreme delle sensibilità diffuse tra gli elettori.
L’offerta vincente
Dalla ricerca di Valbruzzi e Ventura emerge una razionalità nell’offerta politica di Fratelli d’Italia e Lega che nel dibattito pubblico risulta più difficile intuire, dietro la coltre di slogan e polemiche quotidiane: la nuova destra ha trovato una sintesi convincente per rispondere alla domanda di protezione di una vasta parte di italiani, con ricette che combinano i punti di forza della destra (identificare un nemico chiaro, legittimare le disuguaglianze) con gli strumenti della sinistra (spesa pubblica, intervento dello stato), mentre le vecchie battaglie di principio come quelle contro l’Europa sono sempre meno centrali.
I temi di bandiera del Pd, invece, non sembrano interessare letteralmente a nessuno: l’agenda dei diritti civili è una priorità per il 16 per cento degli elettori Pd, ma soltanto per il 7,8 per cento degli italiani e pe ril 3,5 di quelli di Fratelli d’Italia.
Una nuova legge sulla cittadinanza interessa al 5,6 per cento degli elettori Pd, al 4,3 degli italiani e soltanto all’1,2 di quelli di Fratelli d’Italia.
Perfino la creazione di nuovi posti di lavoro è una priorità più della destra che della sinistra: lo è per il 44,7 per cento degli elettori Fratelli d’Italia, per il 38,3 per cento di quelli della Lega, per il 41,7 di quelli di Forza Italia mentre nel centrosinistra soltanto per il 35,2 del Pd, per il 20 di Sinistra e Verdi, per il 37 del Movimento Cinque stelle.
Invece di discutere sul manifesto valoriale e sul possibile cambio di nome da Partito democratico a Partito del lavoro, forse il segretario uscente Enrico Letta e i suoi aspiranti successori dovrebbero mettere al centro della discussione del prossimo congresso l’analisi della proposta politica di questa destra e le sue implicazioni per chi vuole contenderle il potere.
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