- I partiti dovrebbero affrontare una discussione sui rimedi alla crisi della nostra democrazia, segnalata da un segnale inequivoco come l’allontanamento dei cittadini dal voto, che non è affatto normale come si vorrebbe far credere.
- La legge elettorale forma il parlamento, il cui ruolo è decisivo nel bene e nel male. Sia quando funziona, sia quando come nell’ultima legislatura ha segnato il punto più basso di credibilità.
- Il vero problema è se c’è o meno consapevolezza della gravità del momento e se c’è bisognerebbe trarne la conseguenza che il problema di fondo è bloccare la destra in nome della Costituzione.
Il Coordinamento per la democrazia costituzionale ha manifestato a Enrico Letta appena eletto segretario del PD le ragioni di fondo che spingevano a chiedere una modifica del Rosatellum. Due volte la crisi politica dei governi (Conte 1 e Conte 2) aveva portato alla soglia del voto anticipato. Questo consigliava di non perdere tempo. Una nuova crisi avrebbe potuto portare ad elezioni anticipate senza la possibilità di modificare la legge elettorale. Così è avvenuto con la crisi del governo Draghi e le imminenti elezioni.
La legge elettorale non è sufficiente a risollevare le sorti della democrazia che in Italia, e non solo, deve affrontare una crisi profonda. Tuttavia la legge elettorale forma il parlamento, il cui ruolo è decisivo nel bene e nel male. Sia quando funziona, sia quando come nell’ultima legislatura ha segnato il punto più basso di credibilità.
Il taglio dei parlamentari ha sancito la profondità della crisi e il capovolgimento del rapporto con il governo che nel periodo Draghi ha segnato il ruolo più basso del parlamento, arrivando a decidere sui decreti del governo una camera a turno. L’altra poteva solo ratificare le decisioni di quella che aveva avuto il tempo di esaminare il provvedimento. La Costituzione è stata ignorata e i riconoscimenti del ruolo del parlamento servivano a nascondere la verità.
Il capovolgimento dei ruoli tra governo e parlamento non è iniziato con Draghi ma con il suo governo è diventato regola, preannunciando una tendenza al cambio di fatto della nostra Costituzione. Nel rimpianto del governo Draghi esiste anche questa componente.
I partiti dovrebbero affrontare una discussione sui rimedi alla crisi della nostra democrazia, segnalata da un segnale inequivoco come l’allontanamento dei cittadini dal voto, che non è affatto normale come si vorrebbe far credere.
Tuttavia questo richiede tempo e fatica e per ora è un discorso che (quasi) tutti preferirono rinviare. Quindi concentriamoci sulle prossime elezioni e sulla legge elettorale che troppi non conoscono e alcuni pensano di usare a loro vantaggio.
Il nuovo parlamento
Con il taglio dei parlamentari i futuri deputati saranno 400 e i senatori 200, un terzo in meno della legislatura finita. Di fatto questo porta ad una soglia elettorale implicita di partenza più alta del 3 per cento. Inoltre la legge elettorale prevede che l’elettore esprima (pena annullamento) un voto solo per i collegi uninominali e per la circoscrizione proporzionale. Una previsione incostituzionale ma che resta in vigore perché non è stata cambiata e quindi deciderà del futuro del nostro paese, delle scelte che verranno fatte. Altre previsioni sono incostituzionali perché non garantiscono parità reale di voto ai cittadini e anche queste restano in vigore.
Le conseguenze del voto unico per uninominale e proporzionale sono il punto più grave. Il centro destra ha una distribuzione nel territorio nazionale che potrebbe fargli ottenere gran parte dei collegi uninominali perché chi non sta con la destra è diviso e si attarda in considerazioni che non fanno i conti con la legge elettorale più il taglio dei parlamentari.
È come giocare all’asso di denari. Chi ha l’asso parte in vantaggio, così è per la destra. La destra potrebbe vincere e potrebbe fare anche di più, arrivando ai numeri che consentono di cambiare unilateralmente la Costituzione e il presidenzialismo è il loro obiettivo.
Ci si chiede come potrebbe uno schieramento che non riesce a presentare una coalizione per vari motivi presentarsi insieme nell’uninominale maggioritario, dove chi prende un voto in più fa cappotto. Anche un convinto proporzionalista come sono comprende che la difesa e l’attuazione della nostra Costituzione antifascista e democratica è un punto che può unire uno schieramento ampio senza contraddire le differenze che si debbono manifestare nel proporzionale. Se c’è una coalizione nell’uninominale chi vota il proporzionale automaticamente vota anche per l’uninominale, ma segnala la propria preferenza politica che avrà valore nel proporzionale.
Il vero problema è se c’è o meno consapevolezza della gravità del momento e se c’è bisognerebbe trarne la conseguenza che il problema di fondo è bloccare la destra in nome della Costituzione.
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