- Per gli eletti non può valere il principio di segretezza che vale per i cittadini: mentre questi ultimi non devono col loro voto rendere conto a nessuno, i rappresentanti devono rendere conto agli elettori, anche se non sono incatenati dal mandato imperativo.
- Chi chiede il nostro voto deve dirci che cosa pensa e poi anche mostrarci come decide. E deve farlo alla luce del sole.
- Ora che i partiti sono macchine per la selezione e la protezione degli eletti, il voto segreto è a tutti gli effetti un mezzo per rendere nulla l’opinione dei cittadini e, soprattutto, per dare ad alcuni di essi più potere che ad altri.
I liberali e i conservatori inglesi dell’Ottocento sostenevano che dietro il voto segreto si nascondono truffatori e traditori, codardi e bugiardi. Si riferivano al voto dei cittadini (che era pubblico). E avevano torto. Con l’estensione del suffragio, la questione si ripropose per i parlamentari.
Divenne chiaro che per gli eletti non può valere il principio di segretezza che vale per i cittadini: perché mentre questi ultimi non devono col loro voto rendere conto a nessuno, i rappresentanti devono rendere conto agli elettori, anche se non sono incatenati dal mandato imperativo.
Il principio di accountability (responsabilità) deve poter valere perché gli eletti non sono sovrani. Chi chiede il nostro voto deve dirci che cosa pensa e poi anche mostrarci come decide. E deve farlo alla luce del sole. Come caserme, i partiti di massa hanno irregimentato i rappresentanti e reso il voto segreto due volte dannoso: alla loro forza e al rapporto con l’elettorato (comunque mediato da loro).
Ora che i partiti sono macchine per la selezione e la protezione degli eletti, il voto segreto è a tutti gli effetti un mezzo per rendere nulla l’opinione dei cittadini e, soprattutto, per dare ad alcuni di essi più potere che ad altri.
Il regolamento del Senato nel nome della libertà di coscienza fa uso del voto segreto. E’ sufficiente che lo richieda un numero minimo; poi la decisione spetta al presidente.
Per infiocinare la proposta di legge Zan, sono state sufficienti due richieste, a firma Calderoli e La Russa. La presidente del Senato si è trincerata dietro la competenza giuridica: «Io sono stata esclusivamente chiamata a giudicare sulla votazione segreta che è una questione puramente giuridica, infatti ho citato il regolamento e i precedenti».
Ma la senatrice Casellati aveva la possibilità di decidere diversamente, proprio perché la questione era “propriamente giuridica” e quindi oggetto di un “giudizio” che non è di tipo matematico.
Il voto segreto ha nascosto la mano dei senatori. E mentre l’esito va perfettamente d’accordo con la destra illiberale, che mostra ai suoi elettori fedeltà ai principi, questo non è il caso del centrosinistra, i cui franchi tiratori si guardano bene dal mostrare in pubblico contentezza per l’affossamento della Zan.
E invece avremmo voluto vederli gioire insieme al leghista Pillon e compagni. E poi, essendosi appellati alla coscienza non avrebbero dovuto temere di mostrarlo. Perché nascondersi? Perché evidentemente le ragioni della coscienza non sono ragioni.
Il voto segreto protegge i senatori ma danneggia i cittadini, soprattutto perché dà in partenza un potere superiore ad alcuni e svantaggia chi è minoranza.
Quando si tratta di votare leggi che riguardano così direttamente la vita privata e i diritti civili di ciascuno, e in modo particolare di una minoranza che subisce gli effetti di una normativa che li discrimina, il voto segreto è un obbrobrio, nonostante la “interpretazione” dei “solidi fondamenti di carattere giuridico” della presidente Casellati.
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