Forse è una coincidenza che gli autori dei due rapporti che aprono il quinquennio del nuovo parlamento europeo siano due ex premier italiani. Ma non è un caso che i loro rapporti convergano sul punto più rilevante per il presente e per il futuro
Forse è più che una felice coincidenza che gli autori dei due rapporti che aprono il quinquennio del nuovo parlamento europeo, sul Mercato unico e sul Futuro della competitività europea, siano due italiani, rispettivamente, Enrico Letta e Mario Draghi.
Oltre alle personali prestigiose carriere professionali, Letta e Draghi sono anche stati presidenti del Consiglio, avendo, dunque, accesso alle più alte sedi decisionali dell’Unione europea. Certamente non è un caso che i loro rapporti convergano sul punto più rilevante per il presente e, in special modo, per il futuro: maggiore coordinamento maggiore condivisione. I problemi dell’Unione europea si debbono affrontare e si possono risolvere con «una unione più stretta» (uso parole che vengono da Altiero Spinelli che è all’origine di questa Europa).
Indicando il futuro possibile, ma difficile, entrambi i rapporti suggeriscono, ovviamente, con le differenze che derivano dai compiti a cui dovevano rispondere, che tocca alla politica e alle istituzioni europee prendere le decisioni opportune.
Poiché si tratta di decisioni di enorme importanza è ai vertici dell’Unione che bisogna rivolgere lo sguardo e chiedere se, come, quanto siano consapevoli, adeguati e disponibili. Finora la dicotomia europeisti/sovranisti, anche se schematica, è stata sufficientemente chiara per rendere conto della diversità delle posizioni, delle aspettative, dei comportamenti.
Naturalmente, era anche possibile scorgere alcune, non marginali, contraddizioni in entrambi i campi. Più facile coglierle fra i sovranisti, in particolare fra coloro che vogliono strappare, chiedo scusa, riappropriarsi di alcune competenze per le quali, poi, non dispongono degli strumenti per esercitarle. La sfida dei sovranisti agli europeisti finora ha fatto leva su sentimenti e risentimenti, sulla reviviscenza di identità nazionali, su qualche egoismo particolaristico. Con eleganza il rapporto Draghi non sfiora neppure uno di questi elementi. L’analisi, la sfida, le soluzioni sono tutte improntate all’europeismo e dirette agli europeisti.
Per sentirsi dalla parte giusta per troppo tempo a troppi europeisti, anche a quelli italiani, sembrava sufficiente segnalare con un’alzata di spalle e con qualche critica la loro distanza dai sovranisti. Forse c’è anche molto di questo compiacimento alla base della perdita di competitività dell’Unione e della carenza di innovazione.
Personalmente anch’io ho condiviso l’idea che, comunque, l’Unione procedeva, e che le sue istituzioni democratiche avevano bisogno di poche sollecitazioni. Erano/sono comunque in grado, proprio perché democratiche, quindi, aperte, intelligenti, reattive, capaci di imparare, di innovare.
Letta, da una parte, ancor di più Draghi, dall’altra, affermano chiaro e forte che le istituzioni dell’Unione europea debbono essere trasformate, essere rese più coese, più flessibili, più incisive, rapidamente. Il “cattivo” non è esclusivamente il voto all’unanimità, comunque da abolire. Sono tutte le procedure opache e strascicate che proteggono interessi nazionali spesso obsoleti, che debbono essere rivisitate e riformate.
Il sovranismo è la ricetta di un ritorno al passato che non potrebbe comunque essere fatto rivivere e che porterebbe costosi conflitti fra Stati costretti a rivendicare i loro esclusivi interessi proprio sulle tematiche più importanti. Invece, fin d’ora è auspicabile e possibile costruire un’Unione europea a più velocità.
Se i “velocizzatori” hanno successo, questa è la scommessa, saranno molti, stati membri e associazioni intermedie, quelli che vorranno rincorrerli. E l’Unione europea (ri)prenderà slancio.
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