- Il lavoro autonomo evade circa il 68 per cento delle tasse che dovrebbe versare, sempre secondo questo allegato.
- Se poi si aggiunge anche l’evasione dell’Iva (quasi un altro terzo dell’evasione totale), che in parte significativa è da attribuire a lavoratori autonomi, si capisce quale sia la principale fonte dell’evasione fiscale in Italia
- Eppure il governo ha varato un allargamento della flat tax portando il limite a 85.000 euro.
Allegato alla Nadef 2022 del ministero dell’Economia c’è un annesso denominato Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva che è stato recentemente ripreso e sintetizzato dall’Osservatorio dei Conti Pubblici.
Ebbene, tale annesso al documento presentato dal Ministero dice chiaramente che nel 2019 il tasso di evasione dei lavoratori autonomi e di impresa è salito ed è pari a oltre un terzo di tutta l’evasione fiscale stimata in Italia, malgrado i lavoratori autonomi siano solo un quinto del totale dei lavoratori italiani.
Di fatto, il lavoro autonomo evade circa il 68 per cento delle tasse che dovrebbe versare, sempre secondo questo allegato.
Se poi si aggiunge anche l’evasione dell’Iva (quasi un altro terzo dell’evasione totale), che in parte significativa è da attribuire a lavoratori autonomi, si capisce quale sia la principale fonte dell’evasione fiscale in Italia.
L’analisi fa anche una prima valutazione della flat tax introdotta dal governo Conte/Salvini, constatando come questa misura abbia indotto molti autonomi a sottofatturare i propri ricavi per beneficiare della riduzione fiscale, con ciò aumentando di fatto l’evasione fiscale della categoria.
Nonostante questi risultati, il governo ha varato un allargamento della flat tax portando il limite a 85.000 euro.
Certo, in questo caso è possibile che si riduca marginalmente il numero delle dichiarazioni menzognere, comunque a spese di una complessiva perdita di gettito, ma l’asticella dell’evasione si alza ulteriormente, oltre all’ingiustizia di dare benefici a una categoria che si distingue per l’infedeltà fiscale (non tutti ovviamente).
Con questa misura si allarga l’area della tassazione piatta che già comprende i redditi finanziari, gran parte di quelli immobiliari e lascia nella progressività dell’imposta (voluta dalla costituzione italiana) solo i redditi da lavoro dipendente e le pensioni.
Peraltro, queste ultime sono gravate da un’ulteriore tassa fortemente progressiva, quella dell’inflazione, dato che il governo, per fare cassa e finanziare così la flat tax, ha imposto per le pensioni un sistema di recupero dell’inflazione fortemente regressivo (ossia l’indicizzazione si riduce fortemente per le pensioni superiori al minimo), con il risultato di accentuare enormemente la progressività dell’imposizione.
Ce n’è abbastanza per lanciare, come sollecitato su questo giornale da Vincenzo Visco, una vera rivolta fiscale da parte dei tartassati, ma sarebbe masochista per il paese se tutti volessimo passare a una forma di flat tax simile a quella per i lavoratori autonomi, perché questo porterebbe a una perdita di gettito tale che ne sarebbero penalizzati importanti servizi collettivi che non potrebbero più assolvere alla loro funzione.
Bisogna sempre ricordare che i servizi pubblici sono i soli che garantiscono una vera perequazione dei redditi, perché consentono anche a chi non guadagna a sufficienza di accedere all’istruzione, alla sanità, ai trasporti, ai sussidi e a tutti quei servizi che rendono civile un paese.
Poiché non è possibile estendere la flat tax a tutti i percettori di reddito, ecco allora che è necessario ricondurre anche il lavoro autonomo verso la progressività per ristabilire almeno un po’ di giustizia in un paese che già soffre di molte diseguaglianze e per recuperare risorse per finanziare meglio i servizi necessari per tutti.
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