Bucci ha vinto anche mostrando di essere una persona diversa da Toti e la destra comunque continua a fare asserzioni sulla moralità. Il tema per la sinistra è come meglio elaborare le versioni di sinistra dei valori universali. Prima di tutto l’etica pubblica e l’onestà degli amministratori
Il pensiero di molti prima dei risultati liguri era: la sinistra stravincerà perché la destra è indebolita dai guai giudiziari di Giovanni Toti. Ora che le cose non sono andate come ci si aspettava si dice: agli elettori della cronaca giudiziaria e dell’etica pubblica non importa granché. Lo si dice anche di fronte al caso Donatella Tesei, la candidata della destra in Umbria che ha usato fondi europei per finanziare l’azienda agricola in cui lavora il figlio, ma non è perseguibile perché il reato d’abuso d’ufficio è stato abolito dal governo Meloni.
Ma il voto non è una lettera d’intenti. È una scelta: andare o non andare a votare, votare per l’uno o l’altro schieramento. Per interpretarlo bisogna considerare tutte le alternative e i comportamenti, di chi vota e di chi si candida.
Marco Bucci non avrà preso le distanze da Toti in maniera plateale, ma comunque è un personaggio molto diverso, per stile e formazione culturale, e non ha sicuramente avallato i comportamenti del suo predecessore (almeno quella parte dei comportamenti riconosciuti implicitamente patteggiando). E il fatto che a essere premiate dagli elettori siano state liste civiche, più che i partiti nazionali della destra, la dice lunga.
Bucci ha cercato di presentarsi come estraneo e discontinuo. E gli elettori di destra hanno premiato questa discontinuità, votando le sue liste. Forse anche a loro il comportamento di Toti e le sue conseguenze, in termini di sperpero di denaro pubblico e parzialità, sembravano inappropriati.
La destra non ha difeso la corruzione, almeno non a viso aperto. Almeno nei fatti, lo schieramento di destra ha ammesso che qualche problema con la condotta di Toti c’era. Lo stesso vale nel caso Tesei: depenalizzare l’abuso d’ufficio manda il messaggio che non si tratti di un comportamento riprovevole, o che ci siano valori più alti (di libertà, di efficienza, di tutela degli amministratori) da preservare. La depenalizzazione non manda il messaggio che i comportamenti moralmente ingiusti non contino.
La destra, almeno nel linguaggio pubblico, fa asserzioni sulla moralità: non dice che i ladri e i disonesti sono da premiare. Semmai, sostiene che quel che sembra disonestà e parzialità non lo è, o si può giustificare in certi casi. Se agli elettori della destra e a chi votano non importasse nulla dell’etica pubblica, perché depenalizzare un reato? Basterebbe violarlo, e sfidare le procure a viso aperto, incitando gli elettori a votare comunque per candidati sotto processo. Una volta l’onestà era un valore della destra tradizionale e certe disinvolture machiavelliche venivano da frange della sinistra di ispirazione marxista. Poi il berlusconismo ha reso tutto confuso e il cosiddetto giustizialismo è diventato una bandiera della sinistra. Ma forse il cuore di alcuni elettori che hanno votato per i Cinque stelle ma anche per Fratelli d’Italia e per la Lega batte ancora per l’onestà integerrima, e si fa conquistare dallo stile sobrio di Bucci (mostrato per esempio nella gestione della sua malattia). E forse ad alcuni imprenditori onesti, che magari votano a destra, farà specie vedere qualcuno che, come ha fatto Tesei, usa fondi europei per avvantaggiare la propria famiglia.
Agli errori della sinistra ne va aggiunto un altro, dunque. Non solo la sinistra dovrebbe cercare di trovare un’unità decente e porre fine a una notte dei lunghi coltelli che dura da decenni. Non soltanto dovrebbe cercare di rendere appetibili la difesa dei diritti civili e l’ambientalismo mostrandone il legame con la giustizia sociale. Ma dovrebbe anche elaborare e rendere attraenti delle versioni di sinistra di valori universali.
Prima di tutto l’etica pubblica e l’onestà degli amministratori. La ricetta di questa destra è: abolizione dei reati che colpiscono i patrimoni pubblici e l’imparzialità della lotta politica, reati come l’abuso d’ufficio, da un lato, e punizioni draconiane per il dissenso sulle idee, come quello portato avanti dai ragazzi e dalle ragazze di Ultima generazione o dai lavoratori in sciopero, o dagli studenti che protestano.
Licenza per i potenti, insomma, ma galera per i deboli: un giustizialismo a corrente alternata, un classismo giudiziario, un privilegio degli interessi dei pochi contro gli interessi della collettività. La ricetta della sinistra dovrebbe essere il contrario: colpire la disonestà dei potenti e garantire spazi di dissenso e libertà ai normali cittadini, usare le armi del diritto contro i potenti e gli approfittatori, non contro i deboli e i dissenzienti. Fare del diritto la difesa dei deboli, non l’arma dei potenti.
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