- La proliferazione di gruppi armati di matrice jihadista e la diffusione di traffici illeciti sono per l’Europa e l’Italia fonte di grande e motivata preoccupazione. Lo sono a maggior ragione se alziamo lo sguardo sulla Libia.
- Sul Tigray Nei giorni scorsi ho personalmente partecipato ad una riunione a porte chiuse promossa dall’Amministratrice di USaid Samantha Power per coordinare al meglio le nostre iniziative umanitarie e veicolare un messaggio unitario e netto alle autorità etiopi e a tutte le parti coinvolte.
- Infine, condivido la necessità di accendere i riflettori sulla situazione nel Nord del Mozambico. Stiamo organizzando un volo umanitario per le prossime settimane e faremo ogni sforzo per non far venir meno la tradizionale e importante presenza italiana in quel paese.
Rispondo volentieri alle domande sull’Africa che dalle colonne di questo giornale domenica scorsa l’amico Giro ha posto al Governo italiano. Lo spazio a mia disposizione mi costringe ad essere schematica. Partiamo dal Sahel, regione che sempre di più rappresenta per l’Italia un dossier prioritario, come testimoniano le recenti visite dei Ministri Di Maio e Guerini in Mali e in Niger.
Gruppi armati
La proliferazione di gruppi armati di matrice jihadista e la diffusione di traffici illeciti di ogni sorta – inclusi quelli di essere umani – sono per l’Europa e l’Italia fonte di grande e motivata preoccupazione. Lo sono a maggior ragione se alziamo lo sguardo sulla Libia e sulla fragile transizione che ha portato, dopo anni di guerra, alla nascita del Governo di unità nazionale. L’uccisione del Presidente Deby in Ciad e il “doppio colpo di stato” in Mali accrescono le inquietudini e spingono la comunità internazionale - a partire da Ecowas, Unione Africana e Unione Europea - a premere perché si avvii in entrambi i Paesi una rapida transizione, a guida civile, verso nuove elezioni secondo principi democratici. Aiutare i Paesi del Sahel a combattere il terrorismo è d’altra parte necessario non solo per ragioni di sicurezza ma anche per sostenere quelle realtà - come il Niger e il Burkina Faso - che invece stanno dando vita a processi democratici, cercando di affrontare le cause profonde dell’instabilità e della violenza.
Le nuove ambasciate
Non è all’ordine del giorno un disimpegno francese dall’area quanto piuttosto una riarticolazione della loro presenza tra le diverse missioni cui anche noi prendiamo parte. L’impegno dell’Italia a sostegno dei G5, d’altronde, non si esaurisce nella dimensione securitaria e militare, avendo il nostro paese investito sia in termini politici – con l’apertura di nuove ambasciate in Niger e Burkina, con la nomina dell’Ambasciatore in Mali (che si recherà nel paese non appena si realizzeranno le condizioni politiche e di sicurezza) e con l’annuncio della prossima apertura di un’ambasciata in Ciad – sia in termini di cooperazione allo sviluppo sostenibile e di collaborazione per rafforzare le istituzioni civili e garantire servizi essenziali alle popolazioni.
Un approccio complesso e multidimensionale che Mario Giro conosce bene, per avervi contribuito personalmente nella sua precedente veste, e che la recente nomina di Emanuela Del Re a Rappresentante Speciale Ue per il Sahel conferma essere apprezzato e condiviso dai nostri partner.
Tigray ed Etiopia
Veniamo alla crisi del Tigray e all’Etiopia. L’Italia si riconosce totalmente nelle cinque priorità evidenziate dal Mae finlandese ha visto dopo la sua ultima missione nella regione, per conto dell’UE: pieno accesso umanitario; indagini indipendenti sulle violazioni dei diritti umani; ritiro delle truppe eritree dal Tigray; avvio di un percorso di riconciliazione nazionale; maggiore coordinamento con i principali attori regionali.
Siamo allarmati per l’aggravarsi di una crisi umanitaria sempre più profonda, che può sfociare – come denunciano le principali organizzazioni umanitarie e le stesse realtà cristiane lì presenti – in una carestia di proporzioni indicibili. Le violenze nella regione stanno continuando e assumono contorni impressionanti, in particolare nei confronti delle donne e delle ragazze. Tutto questo è inaccettabile e l’Italia sosterrà ogni iniziativa – nelle sedi multilaterali e nei rapporti bilaterali – che possa far cambiare questo quadro e dare un aiuto concreto alle popolazioni civili colpite. Per questo abbiamo aderito all’Appello per il “cessate il fuoco umanitario”, anche per consentire la stagione della semina e l’agricoltura di sostentamento. Per questo nei giorni scorsi ho personalmente partecipato ad una riunione a porte chiuse promossa dall’Amministratrice di USaid Samantha Power per coordinare al meglio le nostre iniziative umanitarie e veicolare un messaggio unitario e netto alle autorità etiopi e a tutte le parti coinvolte.
Non ci sfugge la complessità del quadro in Etiopia, il moltiplicarsi di violenze tra gruppi etnici anche in altre aree del Paese, le turbolenze della regione (dalle tensioni confinarie di Fashaga alla disputa per la Gerd) e l’avvicinarsi delle elezioni del 21 giugno. Riteniamo tuttavia che un approccio franco che parta dall’emergenza umanitaria sia quello più efficace per combinare pressione e confronto costruttivo con le autorità etiopiche.
Infine, condivido la necessità di accendere i riflettori sulla situazione nel Nord del Mozambico. Stiamo organizzando un volo umanitario per le prossime settimane e faremo ogni sforzo per non far venir meno la tradizionale e importante presenza italiana in quel paese.
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