L’informazione oggi è potere non solo nella guerra ma anche nella galassia della comunicazione, ma conoscere tutto non basta
Chi si imbatte nel termine panopticon lo trova solitamente associato al principio ispiratore di un preciso modello carcerario: edifici che consentono a un solo guardiano, al centro del perimetro, di mantenere una visione a 360° di tutte le celle. Col tempo, l’idea formulata nel 1791 dal filosofo e giurista Jeremy Bentham ha finito per assumere un significato quasi orwelliano: nel suo saggio Sorvegliare e punire del 1975, Michel Foucault vedeva nel panopticon il paradigma di potere proprio di una società ossessionata in modo crescente dall’onniscienza del controllo.
In questa interpretazione l’idea di Bentham è più che mai attuale: l’occidente, ben consapevole dei prodigi di cui le proprie risorse tecnologiche lo rendono capace, ha ritenuto per decenni di poter mantenere una posizione di vantaggio, “tenendo d’occhio” l’intero pianeta.
Lo racconta bene Frediano Finucci nel suo ultimo libro Operazione Satellite, proponendo un'originale cronistoria della guerra fredda “spiata” dall’orbita terrestre. I conflitti di oggi mostrano come la capacità di osservazione a tutto campo sia divenuta un elemento centrale nel determinarne l’esito: per capirne la portata, è sufficiente ricordare che Elon Musk è in grado di cambiare le sorti di una battaglia in Ucraina scegliendo di attivare o meno la sua rete Starlink.
Il fallimento
Che le informazioni siano in grado di cambiare radicalmente i rapporti di forza oggi è un principio fondante non solo nell’intelligence, ma nell’intera galassia della comunicazione: persino le nostre frenetiche ricerche sulla rete sono accompagnate dall’inebriante aspettativa di una visione (e comprensione) integrale del presente. Se non che, nella società contemporanea, anche i detenuti si sono dotati di mezzi capaci di far credere al guardiano di stare dormendo nelle proprie celle, mentre, invece, scavano tunnel.
La disinformazione esiste da sempre, ma se un tempo gli elaborati trucchi di Ian Fleming per depistare i nazisti richiedevano gli sforzi di un’intera nazione, oggi sono alla portata di chiunque sappia maneggiare l’intelligenza artificiale. E tutti possono esserne ingannati: l’utente medio di Facebook, i grandi network televisivi, finanche la Cia e il Mossad.
La striscia di Gaza era, di fatto, una struttura equiparabile a quelle immaginate da Bentham: radar, sentinelle e telecamere garantivano che qualsiasi minaccia ne fosse scaturita sarebbe stata identificata e prontamente neutralizzata. Ma la storia è ricca di episodi in cui osservare, analizzare e persino lanciare allarmi è stato vano: da Pearl Harbour all’11 Settembre, il panopticon ha fallito non perché incapace di offrire una visione completa, ma in quanto si è scelto di ignorare parte di ciò che esso rivelava.
Il preconcetto del secondino
Satelliti, droni, algoritmi che setacciano il web… incontrano tutti un limite invalicabile attraverso la sola tecnologia: il “preconcetto del secondino”, vincolato da credenze soggettive così potenti e radicate da impedirgli di discernere i fatti dalle opinioni, le informazioni vere dalle false, anche di fronte all'evidenza.
Se siamo convinti che l’attacco non arriverà mai, ogni dato acquisito non potrà che essere interpretato in funzione di questo nostro pre-giudizio, rendendo ogni possibile ripensamento poco plausibile. Fenomeni come l’odio verso un popolo o lo scetticismo verso la scienza dimostrano che vi sono convinzioni in grado di resistere al confronto con qualsiasi verità conclamata.
Certezze appartenenti non solo a qualche esaltato o paranoico: di fronte alla prospettiva seducente di “controllare” il mondo, la tentazione di rinchiudere la realtà all’interno dei confini della nostra comprensione diventa irrefrenabile. Cosicché, a ben vedere, la “fake news” siamo noi!
E se è quasi impossibile evitarlo, sarebbe già un successo prendere atto che le nostre idee aprioristiche finiscono per definire la nostra comprensione. Così, invece di provare a costruire un panopticon migliore, ci renderemmo forse conto che è impossibile conoscere il reale senza prima conoscere noi stessi.
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