- Le Regioni italiane sono troppo piccole o troppo grandi per la maggior parte dei compiti che lo schema di disegno di legge concernente le «disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario», presentato il 29 dicembre scorso, vorrebbero dare loro.
- Se le Regioni italiane avessero altre competenze, i guasti per i cittadini aumenterebbero notevolmente.
- Pensiamo all’istruzione, alle infrastrutture, all’ambiente: possiamo avere politiche differenziate per fattori che interessano tutta la nazione? Quale sarà il costo di moltiplicare i centri decisionali?
Le Regioni italiane sono troppo piccole o troppo grandi per la maggior parte dei compiti che lo schema di disegno di legge concernente le «disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario», presentato il 29 dicembre scorso, vorrebbero dare loro.
Già oggi esse sono del tutto inadeguate per i compiti assegnati e sarebbe un vero disastro se ne avessero degli altri.
Prendiamo il caso della sanità: le persone sono interessate alle cure che possono ricevere nell’ambito urbano in cui si trovano a vivere, sicché l’organizzazione dei servizi sanitari dovrebbe avere un ambito al massimo provinciale piuttosto che regionale per essere adeguata alle esigenze delle persone.
D’altro canto, il sistema di prescrizione delle medicine da parte dei medici di base dovrebbe avere una base nazionale per evitare che i cittadini non possano acquisire le medicine se si trovano momentaneamente in altre regioni o se vivono nei pressi del confine tra due regioni.
Per la sanità, dunque, la regione è un ambito troppo grande per l’organizzazione dei servizi e troppo piccolo per il rimborso dei medicinali. Ma se prendiamo un altro servizio tipico delle attuali competenze regionali, ossia i trasporti, troviamo altre incongruenze.
I trasporti
I trasporti regionali privilegiano ovviamente le direzioni verso il capoluogo, ma molte città italiane gravitano verso città di altre regioni.
È questo il caso di Verona che ha più legami con Milano che con Venezia e lo stesso avviene per città come Biella e Novara che, pur essendo in Piemonte, sono attratte da Milano. E si può continuare con Terni e Grosseto che sono più legate a Roma che ai capoluoghi delle loro regioni, Potenza che è rivolta verso Napoli mentre Matera è rivolta verso Bari, pur essendo entrambe nella stessa regione e così via.
Se le Regioni italiane avessero altre competenze, i guasti per i cittadini aumenterebbero notevolmente. Pensiamo all’istruzione, alle infrastrutture, all’ambiente: possiamo avere politiche differenziate per fattori che interessano tutta la nazione? Quale sarà il costo di moltiplicare i centri decisionali? Quante inefficienze avremo nel costituire tante piccole strutture per fornire servizi che oggi sono organizzati su base nazionale?
A cosa servono
Le Regioni, per la loro natura, con strutture inadeguate e poco efficienti, possono assolvere funzioni di decentramento organizzativo, ossia di attuazione delle disposizioni nazionali, affinché tutti gli italiani possano avere analoghi servizi e trattamenti, non per costituire centri di autonomia decisionale e di distribuzione dei servizi.
D’altro canto, non esiste un vero sentimento “regionale”: siamo piuttosto legati alla nostra città. Un romano non si sentirà mai laziale, come un milanese è innanzi tutto di Milano piuttosto che della Lombardia.
Vale lo stesso per Firenze e Siena, per Pesaro e Ancona, per Vicenza e Venezia. In realtà, se dovessimo rifare il nostro paese, bisognerebbe eliminare le regioni, attrezzare meglio i comuni e ripristinare le province che meglio rappresentano la storia del nostro paese, una storia di città stato e di Comuni forti, più che di regioni. Invece, ci siamo infilati in questa deriva dell’autonomia regionale che contiene anche un imbroglio fiscale.
Nel disegno di legge non si parla mai di autonomia tributaria ma di “compartecipazione” alle tasse nazionali, ossia di redistribuzione presso le regioni del gettito “maturato” nella regione stessa e prelevato dallo Stat
. In altre parole, si vuole avere per le regioni una libertà di spesa senza l’obbligo di imporre tasse, funzione che viene lasciata allo Stato.
In questo modo, i cittadini vedranno lo Stato come il soggetto che mette le mani nelle loro tasche, mentre le Regioni faranno la figura dei dispensatori di servizi e sostegni.
Una diversità di funzione che porta necessariamente a sentimenti antistatali e allo squilibrio ulteriore dei conti nazionali, per la difficoltà da parte dello Stato di aumentare le imposte a fronte della disponibilità politica delle regioni a spendere.
Assudrdità fiscali
Senza poi tener conto del fatto che imputare a una regione il gettito tributario maturato nella stessa implica che imprese o persone che hanno redditi che provengo da più regioni (e sono molti) finiranno per farlo maturare nella regione di residenza, senza che ci sia un vero nesso tra territorio e tributo percepito.
Per questo, in tutti i paesi gli enti locali, come sono le regioni, non percepiscono tasse sul reddito ma essenzialmente su immobili e terreni che sicuramente posso essere riferiti al territorio.
Ciò che in Italia significherebbe dare alle Regioni il compito di finanziarsi tassando solo le case e i terreni per sostenere le proprie spese: e questo sarebbe in realtà l’esito più logico di un’autonomia regionale se veramente volesse essere attuata.
Siamo ancora a tempo a impedire questo scempio della nazione che rischia di produrre altre diseguaglianze nel nostro paese senza neanche il vantaggio per le regioni più ricche di veder migliorare i servizi, dato che la frantumazione porterebbe a un degrado generale per tutti, in tutto il paese.
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