La Corte di Cassazione ha chiesto alla Corte di giustizia dell’Ue di pronunciarsi in via pregiudiziale sulla legittimità della garanzia di circa 5.000 euro per i richiedenti asilo che vogliano evitare il trattenimento durante la “procedura accelerata in frontiera”
La Corte di Cassazione a Sezioni civili riunite ha chiesto alla Corte di giustizia dell’Unione europea (CgUe) di pronunciarsi in via pregiudiziale su una delle norme più controverse del cosiddetto decreto Cutro: quella che prevede il pagamento di una «garanzia finanziaria» di 4.938 euro da parte dei richiedenti asilo provenienti da paesi terzi sicuri che vogliano evitare il trattenimento durante la “procedura accelerata in frontiera”.
La CgUe si pronuncia su rinvio pregiudiziale quando serve chiarire se vi sia un contrasto fra una disposizione nazionale e il diritto dell’Unione europea. La sua decisione è poi vincolante per tutti i giudici.
Può essere utile chiarire quali impatti può avere la sentenza della CgUe sulla garanzia finanziaria.
La questione pregiudiziale
Il ministero dell'Interno e la questura di Ragusa hanno presentato ricorso alla Corte di Cassazione contro le decisioni dei giudici del tribunale di Catania che non avevano convalidato provvedimenti di trattenimento di migranti tunisini nel centro di Pozzallo.
Nell’ordinanza di rinvio alla CgUe, le Sezioni Unite richiamano una serie di decisioni in cui la Corte europea ha affermato – ai sensi della direttiva sull'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (n. 2013/33) - che il trattenimento può essere disposto con provvedimento motivato dopo «una valutazione caso per caso» della necessarietà e proporzionalità di tale misura restrittiva e «solo qualora non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive», come «la costituzione di una garanzia finanziaria». Insomma, il trattenimento dev’essere un’eccezione. E comunque un migrante non può essere trattenuto «per il solo fatto che non può sovvenire alle proprie necessità».
Alla luce di questi principi, la Cassazione ha chiesto alla CgUe se sia in contrasto con il diritto dell’Unione una normativa come quella del decreto Cutro che sembra andare in senso opposto. Tale decreto, infatti, dispone la detenzione di un richiedente protezione internazionale «per il solo fatto che egli non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente» e non abbia prestato idonea garanzia finanziaria. Garanzia che, consistendo in un importo fisso, non consente «alcun adattamento dell'importo alla situazione individuale del richiedente», né la possibilità di costituirla «mediante intervento di terzi, sia pure nell’ambito di forme di solidarietà familiare».
Queste modalità, ostacolando la prestazione della garanzia e, quindi, ogni concreta alternativa al trattenimento, impediscono anche di valutare la necessarietà e la proporzionalità del trattenimento.
L’importanza della pronuncia della Corte di Giustizia
La Cassazione sembra subordinare la propria decisione sul ricorso del Viminale a quanto deciderà la CgUe sulla legittimità della garanzia finanziaria. Infatti, se la Corte Ue attestasse il contrasto con il diritto europeo della norma che dispone tale garanzia, cadrebbe l’intero impianto del decreto Cutro, quindi anche il trattenimento da esso previsto.
Il decreto dispone che i migranti in arrivo da un «Paese designato di origine sicuro» siano trattenuti al massimo per quattro settimane in specifici centri, allo scopo di «accertare il diritto a entrare nel territorio dello Stato», e possano evitare il trattenimento pagando una cauzione di circa 5.000 euro, come detto.
Questa norma trova fondamento sulla citata direttiva 2013/33, che ammette la possibilità del trattenimento, ma solo in presenza di misure alternative ad esso («come l’obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, la costituzione di una garanzia finanziaria o l’obbligo di dimorare in un luogo assegnato»).
Se la garanzia fosse riconosciuta come illegittima dalla Corte europea, rischierebbe di essere spazzato via anche il trattenimento previsto dal decreto Cutro, la cui legittimità è condizionata all’esistenza di almeno una misura alternativa, come la garanzia appunto.
E non basta. Tutto ciò coinvolgerebbe anche il Protocollo tra Italia e Albania, come affermato di recente anche dal professor Fulvio Vassallo Paleologo, e a maggior ragione, considerate le difficoltà per un migrante di procurarsi una garanzia finanziaria in Albania, e quindi l’impraticabilità in concreto di tale misura alternativa al trattenimento.
Le forzature delle politiche migratorie del governo si riflettono sulle relative disposizioni. Lo scriviamo sin dall’inizio, e a settembre l’abbiamo rilevato anche per la norma sulla garanzia. Ora potrebbe attestarlo anche la Corte di giustizia europea.
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